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Poesia. Ruffilli è senza alcun dubbio uno dei più
originali poeti tra la fine del novecento e l’inizio del presente secolo. Si ha
l’impressione però che la critica, in genere, non ne abbia messo in luce la
singolare versificazione, su cui un’indagine accurata potrebbe rivelare
interessanti scoperte. Pur brevemente, una nota ci sembra doverosa. Lo strano è
che i versi non danno l’idea di essere ‘regolati’, essendo talora spezzati in
arditi enjambement e seguendo un flusso che, se non versificato, apparirebbe
quasi prosastico: evidente in Perché l’amore. Ci sono non di rado metri
precisi, come il quinario, quattro di fila all’inizio di Piano, il primo
con ritmo diverso dai tre seguenti. O i senari: ‘Eppure ti volevo | e ti ho
anche avuto’ [con dialefe] e ss. (Già in partenza). Peraltro è chiaro che
Ruffilli predilige il verso breve, non tanto per distillare le frasi, come gli
ermetici, quanto per conferire ‘dignità’ poetica a parole tutt’altro che
difficili. Lessico perciò semplice, raramente ‘ricercato’, per esempio il
vocabolo desire (Tutta intera 10), ma si tratta di casi pressoché
isolati. Come del resto difficilmente supera l’ottonario, di cui un esempio da
Il letto: ‘nella guerra e nel conflitto’ (trocaico); tra i versi più
estesi questo dodecasillabo da Paolo e Francesca: ‘e risalita di nuovo
sulla bici’. In quanto alle rime, più che un ricupero del significato antico,
sono qui un ‘richiamo’ spontaneo a un’idea che si era perduta, o, volendo, una
‘inerzia rimica’ di cui è ricca la lingua italiana, ma che i poeti perlopiù
avevano ritenuto un obbligo; è anche probabile quella consonanza di affetti che
negli ‘affari di cuore’ rappresenta la coppia; di conseguenza non son quasi mai
rime complicate, ma piane, a volte tronche.
Nell’affrontare l’ampio disegno della raccolta va detto
che è suddivisa in parti (quattro), forma che delinea ‘periodi’ o un intento
diaristico, ancorché vi siano titoli, come momenti o riflessioni sulla
condizione amorosa. Al contrario di taluni che come si dice ‘scoprono le carte’,
Ruffilli tende piuttosto a trasferire su un piano non solo fisico, ma nemmeno
metafisico, l’esperienza che ne deriva; tuttavia la fisicità è rilevante, ma vi
si pone un limite ‘morale’: ‘disposti a tutto | se non all’omicidio | certo al
furto’ (Combinazione). La complessità si incunea nei meandri della
coscienza, del corpo-anima che pare avvilupparsi in un tutt’uno, ora ascendente
ora discendente. Ne consegue la straordinaria quantità di percezioni e concetti,
che tentano di elevare una struttura affine a quella particolarissima dei testi.
Quindi incontriamo la finzione (poesia omonima) che sta nel giuoco tipico dei
rapporti sentimentali: ‘fingendo | di farmi concessioni’; da qui a un vero
inganno il passo è breve: ‘sia pur sentendo | che mi sapevi | persuaso
dell’inganno’ (Per via di naso); ovvio allora che nella purezza, diciamo
pure corporea, si interpongano le ombre dei singoli caratteri. Casi di simbiosi
totale sono alquanto improbabili. Ma c’è un passaggio centrale, ed è la
compenetrazione, nella speranza di ‘capire’, quando gli universi individuali
sembrano procedere in altra direzione, perfino contraria. Si veda il mirabile
incipit de La traccia: ‘La lieve curva della gola | nel pronunciare una
parola’; ci si renderà conto quindi di una precarietà che sta proprio
nell’immagine, senza verificare con gli strumenti della ragione cosa rappresenti
il possesso e quel che vi sia di indefinito e mai acquisito nell’atto d’amore.
Che spinge alla ripetitiva ossessione di qualcosa che ci sfugge, non è in
assoluto nostro come vorremmo; emblematiche le fasi ‘cannibalesche’
dell’ingerire, divorare, per fare proprio l’altro, attraverso una carnalità
esasperata atta a produrre frutti poetici alti, quali a mente lucida forse non
si potrebbe. Dopo c’è come uno sciogliersi, un liquefarsi del vissuto in tal
senso, e si rischia di trascendere in apatia o disinganno. È la sostanziale
assenza della natura – benché la fase creativa ne sia parte – a determinare un
cerchio, da cui si esce soltanto in determinate condizioni. Esemplare perciò la
quarta parte della raccolta (Al mercato dell’amor perduto): una lucidità
di giudizio che si esplica da quel nucleo chiuso e ricostruisce l’iter concluso:
un inno all’amore, inteso in senso lato? può darsi: chissà perché restano dubbi.
Ma non si possono cancellare i segni dell’evento: anche se ‘L’unico rimedio | è
il tempo che, | passando, sfoca | e fa dimenticare’ (Infiammazione)
filtrano profumi, pensieri, sensazioni intraducibili; è la poesia a darci ancora
un frammento del tempo perduto, coinvolti nell’estremo lembo di conoscenza verso
lidi ignoti. Ciò che è residuo sembra la materia che sconfigge lo spirito; ma in
Ruffilli si profila sempre una vittoria: tornando su un tema ormai millenario ha
saputo darci nuove emozioni, una intelligente condivisione, quasi un credo.
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Recensione |
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