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Fritto misto
Narrativa. In confronto alla precedente raccolta (L’uomo
obliquo) i racconti di questa risultano, almeno dal punto di vista
letterario, più compatti e anche più ‘narrativi’. Sono quattordici brevi lavori,
ciascuno con una propria identità, vale a dire soggetto e svolgimento.
Certamente vi è “un giubiloso humour, unito ad un surrealismo di fondo” (A. Lo
Cascio), per cui la realtà sembra ribaltata in una dimensione che diventa
scrittura, ma questo non è sufficiente per il nostro autore, che va oltre e
vi aggiunge, di suo, una intelligenza creativa da cogliere tra le pagine,
confezionando un fritto misto non solo gradevole, ma anche significativo.
Ne La nascita di un racconto lo scrivente non sa cosa scrivere, o meglio,
la ricerca di un tema diventa il tema stesso (talora accade in S. Anderson),
sicché affiora ciò che non si pensa, il controverso simbolo del serpente. È
quindi ovvio, e umano, che lo scrittore venga riconosciuto per le sue qualità,
aspirando alla fama grazie a un campo, quello della letteratura, in cui pochi la
ottengono, perciò un’idea quasi utopica (Le vicissitudini d’un trattamento
analitico). E poi un terreno pressoché inesplorato con Una intervista
islamica, ma Allah sa di più (J. L. Borges). Si veda come Pasterius abbia
saputo trarre ispirazione sviluppando l’idea in modo magistrale da uno slogan
‘irrilevante’ (Sorride a bocca chiusa chi Kaliklor non usa).
In Una
disputa sulla libertà in forma di movimenti musicali ecco la pausa alla John
Cage, colui “che ha introdotto un po’ di Vuoto nella musica” (R. Calasso): non
sarebbe male il tentativo di proporre racconti vuoti. Con La
maledizione dell’ombrello verde apprendiamo in che modo, grazie a un
ombrello, sia fattibile un amore a tre. Tra i pezzi più originali e divertenti
L’elogio della sveglia: si rimane sempre col timore che, prima o poi, una
sveglia possa impazzire.
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Recensione |
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