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I fantasmi di Flaubert
Narrativa. Assai vicina alle forme più valide della
narrativa contemporanea è l’idea che si possa scrivere un buon romanzo anche con
un ridotto numero di pagine, qui una sessantina: è semmai il modo com’è
scritto a determinare la differenza tra racconto e romanzo, intanto per una
scrittura più stringata che tuttavia riesce a definire con tratti
essenziali la parte descrittiva, come a p. 37 “un baule di faggio bullettato
d’ottone”.
Alcuni spunti incuriosiscono: si noti come fu ucciso l’imperatore
Claudio. I romani, ghiotti di funghi, spesso non sapevano distinguere,
specialmente se ‘ovoli’, una amanita cesarea da una phalloides, quest’ultima con
‘ovolo’ di diverso profilo. Viene poi proposto il dilemma tra genio e pazzia, e
c’è chi ritiene l’ultima sonata di Beethoven un’opera in cui brilla il genio, o
meglio “la demenza del genio” (De Lenz). Inoltre, con questo romanzo, si deve
apprezzare un autore (e Kafka ci insegna) che non esita a tagliare parti non
funzionali. I fantasmi di Flaubert perciò funzionano, eccome! Assistiamo
tra l’altro a una raffinata macelleria nel contesto del primo dopoguerra, 1919 e
seguenti, in Germania: stranamente scompaiono dei giovani, e perfino dei
ragazzi, spesso di tendenze omosessuali, e nel contempo, pur considerando il
periodo di profonda crisi economica, sul mercato compaiono inquietanti pezzi di
carne e indumenti di vario tipo.
Difficile procedere nelle indagini stante la
precaria situazione sociale. Capire a quale categoria appartenga il romanzo di Minnucci non è facile, ma che importanza ha? Sebbene differenti piani narrativi
tendano a connettersi, il lettore ne viene coinvolto e vuole sapere come finirà:
troverà una ennesima sorpresa. Farsi leggere è un dono e insieme una funzione
riservati alla letteratura che non tramonta. Per il significato della storia, ci
verrebbe da dire: l’inferno siamo noi.
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Recensione |
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