Il fine del mondo
Narrativa. Un romanzo che fin dal titolo pone una
questione a dir poco filosofica. Ma il testo si distingue per una duplice
linea: la scrittura quale elemento che dispiega le sue potenzialità con un
lessico particolarmente vasto, correlando spesso a ogni suo tratto espressivo la
funzione del linguaggio figurato che quindi esce da una descrizione solo
formale, ma nel contempo si assiste a immagini indefinite, dove luoghi e
personaggi, riferiti a una ‘mitologia’ storica guidano progressivamente alla
conclusione.
Un altro modo per decifrare l’opera è il profilo collettivo in cui
l’individuo si connota secondo caratteri peculiari, mai sottratti dall’insieme;
è quasi una fuga verso paesaggi irreali, un’utopica unità che va
sintetizzata: “L’anima del mondo e degli esseri è una.” Allora lo spessore
concettuale emerge nitido, sfiorando talvolta il paradosso, già implicito nella
realtà in cui viviamo: “soltanto se hai il coraggio di sbagliare consapevolmente
ti sarà dato di trovare la verità”; è proprio quell’avverbio a concepire una
conoscenza diversa da come si era finora intesa.
Capire il fine forse non
ci è concesso; per alcuni l’esistenza è una palude piatta e priva di costrutto,
per altri il significato va inteso avvicinandolo all’io: comunque sia un libro
come questo ci mette in guardia da una società che rende precaria l’eventuale
armonia del mondo.
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