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L’inumano difettoso
Narrativa. Partendo da una realtà normale (un
dattiloscritto) si entra gradualmente in quel tipo di fantascienza che taluni
indicano come umanistica, proprio per il suo contenuto etico e per un
significato che coinvolge anche il dato emozionale. Che un robot, costruito per
servire l’uomo, possa divenire umano pur essendo qui definito inumano,
può essere un’utopia, cioè l’avvicinare ciò che è organico a un materiale in
effetti costruito, sia pure quale macchina pensante, ma il fascino che ne
scaturisce ci impone di seguire una storia che alla fine arricchisce il nostro
modo di vedere le cose.
Il romanzo parte dal presupposto di una guerra nucleare
che, oltre a sterminare o quasi l’umanità, produce nei superstiti danni alle
facoltà generative. Dunque la realizzazione di un androide appare il desiderio
di liberarci dalle incombenze quotidiane, ma cosa farà l’uomo quando non avrà
nulla fare? A dir le verità sembra che osservando le condizioni lavorative del
presente la società economica e industriale stia andando nel senso opposto.
Ma
questa idea – di un automa che poi alla fine per un difetto si guasta lasciando
un vuoto nel nostro cuore – ci piace. Simpatizziamo quindi per l’inumano
Aleph, nome che riverbera in altra dimensione Borges: è il segno di un inizio,
sia pur ipotetico, che ci auguriamo aperto alla speranza, ricordando con
l’autore che “la vita appare sempre come qualcosa d’incompiuto”.
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Recensione |
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