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Ifigenia siamo noi

Un archetipo della  condizione della donna ieri come oggi

La collana antologizza sedici poetesse di nazionalità, oltre che italiana, albanese, portoghese, russa tedesca, anello e catena di una globalizzazione, a maglie larghe sotto il profilo socio-economico-politico, universalmente salde e coese sotto quello culturale, a giudicare dal repertorio delle liriche incentrate su una sfilacciatura ancestrale del costume: delle Ifigenie di ogni tempo e di ogni civiltà sgrana dignità e identità.

Il medium più coinvolgente e diretto per non inumare nelle secche dell’oblio un archetipo, granitico nei secoli, è la comunicazione poetica, nella fattispecie, strutturata in versi petrosi, scabri, amari come salsedine di mare.

Protagonista di un antico in perenne riattualizzazione la donna di sempre, antropologicamente e psicologicamente graffiata, ustionata, scarnificata, ma ad ogni tempesta / forte come la roccia, capace di tramutarsi in pietra, per parlare la lingua silenziosa / delle pietre. Non importa se il processo di mineralizzazione, che la agita dentro con fragore di sassi la estranea dal consorzio sociale; a lume di incursioni nel passato la Storia è piena di pietre / e di uomini soli. Alla stregua

Di Ifigenia, deposta, per il reato del padre, come lagnello sull’altare di Artemide, e della donna, già prima del sacrificio della vergine greca, sola a spersonalizzarsi nelle azioni del quotidiano e a sfiancarsi nel ruolo difficile di madre di mandorlo acerbodi piombo e sassidi corallo e giada, sinonimi duri, esplicativi della sua fermezza e della sua risolutezza.

Sono metafore e immagini lapidarie: sposano il verso ora lungo, ora a coda, ora breve, ora inframmezzato di parentesi e spazi vuoti, in linea con la migliore tradizione della neoavanguardia e, come tale, asciutto, scarno, secco, esternazione di una lacerazione interiore, che mira alla denuncia di esperienze devastanti, senza incorrere nella parola evocativa o evasiva: per trasmettere la vicenda di Ifigenia la poesia vuole e deve essere nuda, spoglia, senza orpelli e artifici stilistici. Lo esige la tematica trattata: non può debordare nell’elusivo né dirottare nella diversione mistificatoria.

Personalmente, e in sintonia con le poetesse in discorso, andrei oltre il caso Ifigenia, salvata in corner dall’intervento del soprannaturale. A una visione oggettiva degli accadimenti di giornata, che registrano un femminicidio esasperato e dissennato, la Ifigenia di oggi non ha né sacerdoti né vati, né pizie che possano salvarla dalle mene dell’uomo-furia, in retrocessione verso un vetero-maschilismo dal volto digrignato e dalle mani artigliate. Dinanzi alla rabbia assassina, per traslato trasformistico omologata in raptus, Ifigenia, di cui la donna di ogni età è eteronima, è ancora e sempre sola; sola a dibattersi non contro Artemide, che la risparmia appagandosi di una cerva, ma contro il mostro che si fa chiamare Amore e che continua a chiamarla Amore, anche quando ha tatuato di sangue le… unghie, affondate nel grembo di lei; sola con gli occhi sgranati di paura; con la morte che le danza intorno senza prefiche e corifei; sola con un consuntivo, estemporaneamente rabberciato, di un Amore killer, di cui nella dissolvenza dei flashback, ancora non sa intercettare segnali premonitori di violenza e sopraffazione. Sono baleni di luce tardiva e di verità inconfutabili, non percepite: da essi dipana una tela con arguzia imbastita e con altrettanta arguzia disfatta. L’intento del Caino è confondere, disorientare, per pianificare il disegno criminale.

Ma Ifigenia è furore che non si spegne; anche se è stato addobbato l’ara sacrificale, ne ascende i gradini come guerriera indomita. Soldatessa che cavalca tempeste / controvento, è voce monodica che si fa polifonica, perché nell’equivalenza e nella sutura di uno status empaticamente parallelo, la voce di una sola Ifigenia è la voce corale di tutte le Ifigenie della storia, prede del cannibalismo degli uomini. Essa è Medea e Antigone e quante altre donne forti e determinate attraversano, da cariatidi, la cultura classica e contemporanea. Con loro Ifigenia scavalca il mito per farsi donna tra le donne, con l’obiettivo di essere libera e di non appartenere, infine, più a nessuno.

Credo sia questo il messaggio delle liriche, lette con molta partecipazione e con il rammarico di non essere inclusa nella rosa delle sedici poetesse che, senza infingimenti e risentimenti di parte, hanno artisticamente rappresentato e cantato il dramma di essere donna in contesti grigi e decadenti.

L’antologia, scritta con ottica femminile, non femminista, si avvale di una rassegna biobibliografica delle autrici, stilata con competenza e professionalità dal poeta Giuseppe Vetromile, come ebbi modo di sottolineare in altra circostanza, un neoterico, che invera losservazione del quotidiano con suggestioni poetiche e filosofiche di natura esistenziale.

Recensione
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