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Mitografie
La svolta onirica di Giuseppe Vetromile e il suo Ulisse minore
Perennemente in feri, la
poesia abiura solstizi e morte stagioni. Il suo spartito di grida e sussurri,
illuminazione e folgorazione, spasmi e travagli, introspezione e romitaggi
dell’io è il canto impe-rituro del poeta, inesaustivamente intento a sfogliare,
quasi a lui solo sia dato svelarne il mistero, il grande libro dell’eterno vero,
acqua sorgiva sulle pulsioni della sua curiositas. Una curiositas
in-controllata, senza freni e cablature, prospettica, caleidoscopica e con
obiettivo l’ansia di auscultare, intercettare, a seguire la recente fatica del
Vetromile, enumerare molliche di sogni, visioni e fole di mondi
fantastici, solido antemurale al peso di giorni sempre uguali.
È la svolta e la dimensione
onirica del nostro poeta , noto agli amanti ed estimatori di Tersicore per aver
dato alle stampe una copiosa messe di sillogi, suggerite da contingenze del
proprio privato e interrelate con la pertinenzialità del contesto.
Seguendo da tempo storico l’iter
ascensionale del Vetromile, ne apprezzo da sempre dinamismo linguistico e
contenuti, peculiarità che non finiscono mai di sorprendermi per il proteismo
del fan-ciullino che è in lui; un fanciullino che dallo
spiralato salariato trasmigra, con un fardello di pro-blematiche
inconfutabili, nell’Ulisse minore, uomo comune tra gente comune, in cerca di
risposte almanaccabili, non circostanziabili, perché nessuno conosce il vero
senso dell’andare.
Come già detto, è il nuovo polo
della lirica vetromiliana. Essa prende spessore e consistenza nei dieci
componimenti del citato Ulisse minore, perla di un messaggio unico e
singolare, indipenden-temente dalle suggestioni che lo adultizzano e convertono
in parola evocativa e pregnante, mera eccellenza dell’endecasillabo caudato,
foneticamente e semanticamente armonizzato.
Nel pamphlet, che apre
il volumetto collettaneo Mitografie, edito dalla Kairós, l’Ulisse
vetromi-liano è un uomo come tanti, fagocitato da interrogativi afferenti il
finalismo dell’essere nel ciclo in-cessante della materia che torna alla
materia, partendo da un punto e ritornando nel medesimo punto.
Quesito ancestrale e senza
soluzione di continuità: congiunto con una forma di scontento perma-nente,
sollecita l’io narrante a traguardare, sulla scia degli eroi classici,
mari non propri, senza che l’inattingibile diventi attingibile e
comprensibile per il limitato intelletto umano. Allora la curiositas di
scoprire cosa si nasconda sotto la veste del sole, di rivisitare Ogigia e
Calipso, le Sirene e Poli-femo, Eolo e Apollo, si smorza per l’impossibilità di
svelare arcani che sono rimasti tali anche per i personaggi mitologici che,
tuttora, affascinano l’immaginario collettivo. La realtà irrecusabile è che il
naturale bisogno di appagamento non può trovare pace in nessun porto.
Sterile, perciò, a lume di ragione, disturbare il silenzio di Polifemo che
sonnecchia alla sua pietra/ immobile nel tempo, sen-za sapere sciogliere
enigmi di nuovi cieli. Persino lui difetta della qualità di antivedere:
il suo oc-chio guardingo… è velato dal bonario trascorrere di giorni
uguali. Sterile cercare Itaca distante, lontana: tra le sue pietre non si
dipana bandolo di rivelazione che possa soddisfare l’andare, il viag-gio onirico
della fantasia. A ragion veduta, non sarà erroneo rintracciare il teorema dei
perché nelle piccole grandi cose della quotidianità. Come rinnegare, ad esempio,
quella viva ed autentica del condominio? Lì, non viene meno la certezza di una
Penelope, pilastro d’attesa, che tesse le mura di casa/
con sorrisi di vestaglia. È questo l’approdo dell’uomo materia tra la
materia? Indubbia-mente sì! Forse, più che inseguire chimere, naufrago e
peregrino su mari non propri, il vetromiliano Ulisse minore si
consapevolezza che è preferibile guardare vicino e cercare placamento alla
man-cata chiarificazione di enigmi, che metterebbero in difficoltà finanche la
Sfinge e la Sibilla, nel mi-nimalismo del suo condominio, dove gli eroi di tutte
le mitologie sono uomini e donne con occhio, come Polifemo, velato dal
bonario trascorrere di giorni uguali. Certo non affabulano come gli dei e le
dee greche, ma in cambio sono carichi di quel calore domestico intimo,
confidenziale che su-scitano i sorrisi di vestaglia.
Lì, quando avrà compiuto/
il grande periplo, Ulisse-Vetromile, eteronomo dell’uomo basso,
intriso di materia e di regole fisse, ritroverà eterna la
sua Nausicaa anastasiana, come già Celeste, Rosamaria, Arianna, unico
ubi consistam solido, stabile, senza nulla di utopico e di trascendentale.
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Recensione |
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