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Da una quiete immota
Emidio Montini nasce nel 1954 in una valle del Bresciano fra le più
laboriose e chiuse a tutto ciò che non ricada sotto la voce “tempi e metodi”.
Forse, a ricondurlo ignaro verso quella vanità chiamata poesia, solo può essere
stato quell’elemento – primitivo e sacrale – ereditato da parte materna. Il
testo di Montini, che prendiamo in considerazione in questa sede, si articola
in quattro sezioni ed è composito e compiuto, nel suo alternare brani di prosa
poetica e poesie. Da una quiete immota è scandito nelle seguenti sezioni:
Viaggio in Grecia, Il cuore e il labirinto, Frammenti d’Orfeo e
Algarive, lettera un amico.
E’ interessante notare che Viaggio in Grecia si apra con una
citazione tratta dall’Edipo a Colono di Sofocle, citazione che pare
opportuno riportare:-“…Ti prego, creatura di Terra e d’Inferno, fa’ che non
inciampi il viaggiatore che cammina nella spettrale valle. Te ne scongiuro: te,
dalla quiete immota!-”. Tutta questa parte iniziale del libro è costituita
da frammenti brevi in prosa poetica, per l’esattezza quindici, legati da un
filo rosso interno, che l’autore articola con rara e originale maestria Questo
l’incipit di Da una quiete immota, in cui viene espresso chiaramente lo
stile classicheggiante dell’autore che caratterizza tutta la sua opera, a
partire dalle raccolte precedenti, come, ad esempio, Cassandra la Bella e
altre cose, edita nel 1992; così leggiamo all’inizio della sezione viaggio
in Grecia nel frammento numero 1:-“Venezia la pigra è immersa nella nebbia.
Campanili sfilano mentre la “Sophocles” lascia il molo. Le stanno lontano
gli altri scafi, così minuscoli se visti da quassù. Miro San Marco faccia a
faccia. Il canale si fa ampio, la scia più decisa, mentre imbocca il mare
aperto. Si rabbuia l’acqua, si pulisce, mano a mano che la costa scorre, che
scompare. La Grecia è laggiù, un frammento di cartina. Sul ponte bivacchi e
birre. Alle pareti stampe d’eroi antichi. Arpe e riccioli, i modellati corpi, le
tuniche e le fasce. Episodi d’intraprese guerre. Il tempo è quello del mito.
Della giovinezza. Il mare è piatto. Il camino un’annerita torre, incapsulato un
organo che sbuffa. Un sole latitante intiepidisce a tratti e poi svanisce. Le
nuvole un prato brucato. Le zolle che ne affiorano lembi di azzurro.”
Qui il
poeta rivive e riprende il tema del viaggio in Grecia e della solarità con una
descrizione molto minuziosa nei particolari. Si parte da Venezia, Repubblica
Marinara, ed è molto suggestiva la descrizione che l’autore fa della partenza.
Molto bello il passaggio: La Grecia è laggiù, un frammento di cartina, in
cui viene espresso poeticamente tutto il senso della navigazione. Attraverso una
forma densa metaforicamente l’autore descrive la partenza e la navigazione con
uno stile neoclassicheggiante preciso e composito. C’è una velata sospensione in
tutto il discorso; da notare, fatto saliente, che tutta la narrazione si svolga
al presente e ciò dà sicuramente un tono ancora più alto e magico alla
felice prosa di Montini.
Completamente diverso è il tono e il contenuto della seconda scansione
in cui si articola il testo di Da una quiete immota, intitolata Il
cuore e il labirinto: qui si può aprire una breve parentesi sul senso e sul
significato del titolo della raccolta di Montini: si può dire che tutto l’ordine
del discorso dell’autore nasca appunto dalla quiete e qui, a livello estetico si
può dire che ogni forma di espressione artistica, non solo in un’estetica zen,
nasca dalla quiete (e il caso più macroscopico è quello della musica). L’autore
è consapevolmente convinto, e questo è un merito della sua coscienza letteraria,
che anche un tipo di poetica come quello da lui elaborata nasca dal silenzio
inteso come genesi o come principio primo di tutto un discorso, inteso come
fondamento. Il cuore e il labirinto è un insieme di poesie di eterogenea
estensione e di molteplici contenuti, che proseguono, in modo articolato, il
discorso dell’autore. Ancora una volta s’incontra il tema della purezza e della
compostezza di una grecità mai abbandonata e, anzi, riscoperta e fatta rivivere
con amore e con acribia filologica;-“/M’ha sopraffatto il Tuo silenzio. /
(Cruda sagoma, invocato limbo). / In esso, stavo come un bimbo. / Sedotto poi a
vedovanza lieve/”;poesia di quattro versi forti e icastici, quella qui
citata, in cui c’è un tu che resta indefinito. Tutto in questa
composizione sembra rimandare a qualcosa che resta non detta, non definita: è
una poesia fortemente epigrammatica, che, quasi, sembra essere incisa su una
tavoletta con un punteruolo, invece di essere stampata su una pagina,
A volte,
nelle sue poesie, il poeta privilegia descrizioni naturalistiche come in
quest’altra poesia, tra l’altro, come tutte, senza titolo:-“/ Ecco che in
giovinezza di fiducia scovavo un sole / che abortire potesse io non credevo. Che
mute stelle / che in luogo d’amore porgermi potessi non temevo. // Per questo
assetato bevvi, mi cibai se affamato, / né più oltre a colmare dispense il mio
giorno spesi / Dunque non ero un giglio. Passero non ero dunque, cui per
suo canto minimo grano destinato fosse//-“. Lo stile del poeta è alto e c’è
solo un minimo sforzo nel ricreare atmosfere classiche: tutto sgorga sulla
pagina con grande naturalezza e diviene un eccellente esercizio di conoscenza.
Quasi ogni riferimento viene taciuto e tutto viene giocato su un piano quasi del
tutto ontologico.
La sezione suddetta è l’unica in poesia dell’intero libro dell’autore:
la terza Frammento d’Orfeo è brevissima, un frammento di una pagina e
mezza, e particolarmente bella è l’ultima sezione Algarive, lettera ad un
amico, in cui si effonde magistralmente nella pagina il pathos già
incontrato nelle altre parti del libro, quando entra in scena la presenza
di un tu al quale il poeta si rivolge.
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Recensione |
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