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L’atto tragico Diotima e la suonatrice di flauto di Ida Travi si colloca sul filone della tradizione letteraria e filosofica greca e, richiamando per alcuni versi, il logocentrismo di Platone, pone l’attenzione sul ruolo della donna nella storia dell’umanità.

La donna, grande presente/assente lungo il corso dei secoli, ritorna in una scrittura capace di porre e di svolgere, anche in chiave e struttura teatrale, quell’analisi psicologica del “sentire” femminile che ha dato prova in scrittrici straordinarie come Virginia Woolf, Sylvia Plath, Emily Dickinson (solo per citarne alcune). Un testo teatrale ricco di simboli: il sentiero, l’ulivo, la fonte…simboli che l’autrice spiega nelle “note di intento e di scena”; una scrittura creativa che fa coesistere le antiche dicotomie di anima e corpo, materia e spirito, dentro/fuori.

Si avverte in ogni pagina il respiro del logos e quel sapere tutto femminile, nella pienezza e l’unità dell’eros generativo.

Ida Travi (che ha pubblicato numerosi testi di poesie, come L’abitazione del secolo, Regni, Il distacco) in quest’ opera., soprattutto, vive il rapporto tra poesia e teatro nello spazio e nella prospettiva di una problematica tutta esistenziale.

Poesia e musica, cori e appassionate voci femminili dominano e catturano l’attenzione disegnando un universo femminile sempre presente e vivo, anche se escluso o ignorato dalla Storia ufficiale.

La Travi immagina che la suonatrice di flauto, che nel Simposio di Platone era stata chiamata per allietare il banchetto, e poi allontanata al momento che i convitati cominciano a discutere dell’Amore, incontri, proprio sulla strada del ritorno a casa, Diotima di Mantinea, quella che Socrate chiama sua maestra. Da questo incontro nasce una nuova storia, che intreccia tragicamente i destini delle due donne.

La poesia e la prosa della Travi in questo atto tragico assume davvero un misura inconfondibile: la tensione drammatica in alcuni punti si fa sommessa, quasi sussurrata e sgorga, come l’acqua della fonte, dall’intimo, dalle viscere di un pudore tutto femminile:Diotima, il tono della voce…le parole che dici, mi fanno ricordare.. Mi spingono a parlare….. Anna, coraggio, ascolta le voci che ti parlano di dentro. Falle uscire.

Coro: Amore mette al mondo cose vere | non pallidi fantasmi di virtù…

Diotima, che nel Simposio di Platone parla per bocca di Socrate, qui parla per se stessa e dice la sua verità. Proprio in “La Verità” (narrazione di come si è risvegliata nell’autrice l’immagine della suonatrice di flauto) la Travi dà una convincente definizione della Verità: “Penso che qualunque cosa, tutto, una volta enunciato, diventa appunto un enunciato e non è più la Verità. Penso che la Verità non si possa dire...” .

Come la filosofa Maria Zambrano la poetessa Ida Travi cerca nel mondo greco gli albori della nostra cultura, quel “prima” che unificava filosofia e poesia: … “le accomuna – scrive Luisa Muraro, nell’Introduzione – un tratto della scrittura che trascende ogni polemica. Entrambe in-seguono una scrittura in cui, prima della parola viene l’ascolto: viene e si esprime nella scrittura stessa come una cavità…” Questo discorso richiama un’altra importante opera della Travi L’aspetto orale della poesia dove, tra l’altro, si legge: “Nella sensualità del primo vagito, del primo suggere dal seno, nel primo abbraccio dopo la lunga emersione dal nulla si tesse una trama tragica: chi consegna alla vita consegna alla morte e lo fa per amore.” E’ un concetto che si allaccia a ciò che l’autrice scrive ne “La Verità”: “…la culla… è  una specie di immagine ricorrente… Anzi, più che la culla è l’immagine del neonato che ritorna. E qualcosa che ha che fare con la lingua materna. La lingua della madre è una lingua poetica. E la culla è sempre lì vicino….Perché vuota?...Non lo so…. del resto se si conoscessero a fondo le ragioni della poesia, la poesia non sarebbe quel che è”…

Nel “Monologo di Diotima” come nelle voci dei Cori la scrittrice ci offre, infine, la visione di una totalità dell’essere, senza distinzione tra corpo e psiche, tra esperienza e ragione, tra mondo metamorfico e relazione e la sfera dell’eterno sempre identico a se stesso. Anche nel “Ritratto di Anna” si avvertono risonanze attuali, alcuni spunti di temi propri della filosofia odierna e del divenire generativo che salda la vita alla morte.

Un testo che si legge con piacere. Poesia e filosofia, teatro e musica, presente e passato, antico e moderno, presenze/assenze s’intrecciano al punto da formare un tessuto magico che avvolge, come in un abbraccio, mente e corpo, e proietta il lettore in una dimensione metafisica.

14 novembre 2004

Recensione
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