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Su alcune antiche carraie a binari incassati
esistenti nella campagna augustana

Fra i pochissimi documenti e monumenti che forniscono dati sulla viabilità antica della Sicilia, spiccano per originalità e dovizia di informazioni l’Itinerarium Antonini, che è un itinerarium scriptum, dedicato a Marcus Aurelius Antoninus, da far risalire, come ci dicono gli studiosi di viabilità antica [Cfr. L. BOSIO, La viabilità della Sicilia negli Itineraria romani, in Viabilità antica in Sicilia – Atti del 3° Convegno di Studi, Giarre-Riposto 1987, ed. Archeo-club.], e la stessa dedica, all’epoca di Caracalla, cioè agli inizi del III secolo dell’Impero, ed il Codex Vindobonensis 324, meglio noto come Tabula Peutingeriana, un itinerarium pictum risalente alla metà del IV secolo a.C.

I riscontri sul terreno sono tuttavia minimi, e si riducono ad un miliario (pietra miliare) arcaico scoperto nei pressi di Corleone, il quale ricorda un Aurelio Cotta, forse il console del 252 e del 248 a.C. da cui la strada, Aurelia, prende il nome, e a vecchie costruzioni di ponti ed altri ruderi connessi ai sistemi viari antichi, come ci ricorda Uggeri [Cfr. G: UGGERI, L’evoluzione del sistema viario romano in Sicilia, in Atti, cit.]. Altro documento, unico nel suo genere, è una iscrizione frammentaria, scoperta a Siracusa, la quale accenna a restauri stradali, ma non dice quali erano le strade da sottoporre a manutenzione.

La letteratura classica fa cenno ad altre strade in Sicilia, di cui ci tramanda il nome: una via Pompeia, citata da Cicerone nelle sue Verrine, esistente nei pressi dello stretto di Messina, ed altra via, chiamata Valeria, che, come si legge in Strabone (Geografia VI,2,1) congiungeva Messina a Marsala (Lilibeo).

Sia la Tabula Peutingeriana che l’Itinerarium Antonini, concordano su alcune grandi “arterie” che nell’antichità, almeno dal III secolo dell’impero, percorrevano la Sicilia unendo i capi Peloro (che era il traiectus che univa la penisola alla Sicilia) e Pachino, lungo direttrici ripetute oggi dalle moderne strade. Altre bretelle, legate alle necessità dell’annona e militari – tra queste è certamente da includere la via Aurelia, connessa alla prima guerra punica [Cfr. G. UGGERI, cit.] –, vengono ricordate dagli itineraria citati.

Quindi, pochissimi riscontri sul terreno, se si eccettua il miliario di Corleone. Ma l’assenza di ruderi o di altre testimonianze, materiali o letterarie, non sorprenda. L’idea che oggi abbiamo della strada, che è un insieme di servizi utili per il veloce trasferimento da un punto all’altro dell’ecumene con mezzi rotabili sempre più veloci e funzionali alle necessità economiche, sociali, politiche, ma anche individuali per il godimento, per esempio, del tempo libero (sì che oggi il binomio veicolo-strada è divenuto inscindibile), non è la stessa di quella dei Romani, ai quali, a seguire gli esperti, il territorio della “provincia” e quindi la sua sua percorribilità, il suo reale utilizzo, si presentava come una utilitas della quale conservare il possesso per fini pratici, politicamente positivi, utilitaristici (spedizioni militari, cursus publicus, rifornimenti per soddisfare le esigenze dell’annona, vero pozzo di san Patrizio per la metropoli laziale). Emblematico quanto si legge in Cicerone (In Gaium Verrem actionis secundae, III, 11): “…Neminem uestrum praeterit, iudices, omnem utilitatem opportunitatemque prouinciae Siciliae, quae ad comoda populi Romani adiuncta sit, consistere in re frumentaria maxime; nam ceteris rebus adiuuamur ex illa provincia, hac uero alimur ac sustinemur”. (Nessuno di voi, o giudici, ignora che tutta l’utilità ed il vantaggio della provincia di Sicilia, che è stata annessa al nostro dominio nell’interesse del popolo romano, consistono in primo luogo nella fornitura di frumento; con gli altri beni infatti quella provincia ci è di aiuto, ma con questo ci nutre e mantiene”).

Quest’ottica non prevedeva di valorizzare le vie di raccordo oltre limiti e interessi che le necessità legate al possesso imponevano, per cui Verre poteva essere spinto a depredare l’Isola dei suoi tesori, ma non a promuovere attivamente la manutenzione di strade o la costruzione di ponti sì da renderli funzionali al servizio che si richiede ad ogni arteria stradale. Nessuno a Roma avvertiva o sentiva tale mancanza.

Che la viabilità romana in Sicilia possa aver utilizzato, come ci ricorda Uggeri [Cfr. G. UGGERI, cit.], una preesistente fitta maglia di itinerari sicelioti, è facilmente intuibile, in quanto anche oggi l’adattamento di preesistenti tracciati, collaudati dagli anni, bene si presta alla realizzazione di nuove e più funzionali arterie. L’autostrada Messina Palermo ripete la vecchia via Valeria; i percorsi dell’Itinerarium Antonini stabiliscono una rete che congiunge Messina a Marsala (a Traiecto Lilybeo) sia per la costa settentrionale che per quella orientale e meridionale, a voler tralasciare i percorsi interni oggi reiterati, per esempio, dalla Catania-Gela-Agrigento (Item a Catina Agrigentum…), dalla Catania-Termini Imprese-Palermo (item a Thermis Catina) e dalla Palermo-Agrigento (item ab Agrigento Lilybeo).

Come si presentavano le strade romane in Sicilia? Erano pre tracciate o erano semplicemente delle piste, il risultato, come negli odierni tratturi, di percorsi preferenziali percorribili con relativa facilità, adatti tutt’al più al trasferimento di eserciti, o di animali da soma per il trasferimento di derrate dall’interno alla costa? In effetti le strade erano piste naturali, tracciate dal lungo uso [Cfr. S. LAGONA, Introduzione al 3° Convegno di studi, cit.]. La deportatio ad aquam, il trasporto via mare di derrate, era possibile in quanto l’interno fosse congiunto agevolmente (?) alla costa, dove dovevano esistere dei caricatori. Il cursus publicus, il servizio postale in particolare, che si avvaleva di mansiones e mutationes, per il pernottamento dei corrieri ed il cambio dei cavalli, era forse l’unico servizio razionale, ritenuto utile, ma raramente un ponte congiungeva due rive di fiumi disagevoli a guadarsi, ed il Capo di Taormina, in uno con quello di S. Andrea, venivano doppiati con barche. Non è da escludersi che la viabilità antica, almeno la viabilità minore, avesse motivo d’essere, e quindi utili connessioni tra le varie bretelle, in funzione dell’esistenza, sul territorio amministrato, delle massae – il latifondo romano – le quali insieme rappresentavano alla fine il tessuto connettivo per il trasferimento della produzione cerealicola, il cui naturale sbocco era la costa ed i suoi porti. Ma, come scrive Uggeri [Cfr. G. UGGERI, cit.], la maglia viaria, condizionata dalla dislocazione della massae, delle miniere, dei boschi, che infine rappresentavano il “territorio” utile a Roma, era disorganica e frammentaria, e la sua disgregazione più tardi, già dal medioevo, trova naturale sbocco negli aggrottamenti e negli incastellamenti, i quali non hanno assoluta necessità di strade di raccordo sulla lunga distanza, ma solo di una maglia viaria (delle piste si potrebbe dire) connessa alle necessità locali, di interscambio, quasi di mera sopravvivenza.

Questo modo di concepire la strada non è inusitato, né prettamente romano. Alcuni secoli prima, coloro che erano discendenti dei Greci, i Sicelioti, non avevano organizzato diversamente il loro sistema viario, il quale certamente utilizzava piste naturali, non tracciate; né altrove la situazione doveva presentarsi diversa se Erodoto IV, 132, 2 (spedizione di Dario contro gli Sciti, 512 a.C.) poteva scrivere: “…E poiché l’esercito persiano era per la massima parte composto da truppe di terra e non conosceva le strade, in quanto essere non erano tracciate, mentre l’esercito degli Sciti era formato da cavalieri e conosceva le scorciatoie…”.

Se le strade, ancora nel VI secolo a.C., non venivano materialmente tracciate (e riteniamo che questa prassi riguardasse anche la Sicilia), ma erano il risultato del naturale livellamento di tratti di terreno percorribile con relativa facilità, viene allora da chiedersi cosa siano quelle carraie, incassate per terra, che un po’ dovunque si notano sulla roccia, quando questa non sia coperta di humus e a che periodo si debbano riferire. S. Lagona [Cfr. S. LAGONA, cit.] non ha dubbi: ritiene che le carraie (alcune carraie, riteniamo) abbiano connessioni con la viabilità greca, della quale sarebbero la residua testimonianza, ma sono difficilmente “databili”. Ritiene tuttavia, a seguire le fonti letterarie, e la verifica in campo, che le strade “…greche non venivano costruite ma risultavano da piste naturali che con il lungo uso si trasformavano in strade…”.

Prima di addentrarci nei meandri delle ipotesi e delle supposizioni, conviene ora segnalare alcuni tratti di carraie a binari incassati rilevati nel nostro territorio ed in quello di alcuni comuni limitrofi.

- COZZO TELEGRAFO – Territorio del comune di Augusta. Carta IGM 25.000 – F° 274, N.E. – WB 126272.

Sezionata in parte da una cava di pietre, oggi dismessa, si snoda lungo la fiancata ovest del Cozzo Telegrafo [Oggi punto trigonometrico, il Cozzo Telegrafo (già Diavolopri, o Diavolodopera), che sovrasta ad est il mare ed ad ovest l’area del Maccaudo, nel passato è servito come punto di installazione del semaforo (ad aste. Sul cocuzzolo si notano ancora oggi macerie pertinenti alla struttura dell’abitacolo, da dove il semaforo veniva azionato.], una antica strada tracciata mediante due solchi paralleli nella roccia calcarea. L’interasse non è costante: esso varia da cm. 130 a cm. 150. La carraia, che sembra avere origine in prossimità di una edicola votiva ad incavi quadrangolari realizzata nella parete rocciosa [Gli incavi votivi, o edicole votive, furono notati dal Bernabò Brea, il quale li paragonò a “quelli ben noti delle latomie di Siracusa e di Akrai”. Cfr. in proposito L. Bernabò Brea, Il Crepuscolo del Re Hyblon, La Parola del Passato – Rivista di Studi Antichi, CXX 1968, Napoli.], a margine della strada provinciale che costeggia il Vallone Maccaudo, si inerpica trasversalmente sulla fiancata del Cozzo, e si perde sotto lo strato di terra nel mandorleto ivi esistente, quindi riappare più in alto, con direzione sud-nord, per alcune decine di metri fino al ciglio della cava, che ne interrompe il tracciato.

In prossimità degli incavi votivi, i solchi percorrono un tratto di carreggiata incassata nella roccia, larga da metri 1,60 a metri 2,90, lì dove il terreno, per la presenza di una antica linea di costa, non poteva essere agevolmente superato, se non intaccando il gradino roccioso.

- CONTRADA MANGANO – Territorio del comune di Augusta. Carta IGM 25.000 – F° 274, IV,S.E.- WB 153217.

Altra carraia a binari incassati nella roccia calcarea si snoda in contrada Mangano, sulla spianata che sovrasta la riva sinistra del fiume Mulinello, in prossimità del ponte esistente tra i km. 4 e 5 della statale Augusta-Melilli. L’interasse è di cm. 130 ca., la larghezza dei solchi varia da c. 25 a cm. 30, per cui si ha un ingombro totale di c. 160 ca.

Come quella di Cozzo Telegrafo, anche la carraia in contrada Mangano si perde nella campagna. A monte, è possibile che sia stata sezionata dai lavori inerenti alla realizzazione della superstrada 114 Catania-Siracusa. La carraia costeggia una necropoli del Bronzo antico, la cui presenza era stata segnalata dall’Orsi [Cfr. P. ORSI, Molinello presso Augusta – Notizie degli Scavi, 1902, Roma.], il quale, avendo notato i “…belli avanzi di rotaie che veggonsi nelle rocce (orbitae tensarum, o tracce di ruote di carri votivi come le interpretava lui), aveva ipotizzato che “…ivi transitasse l’antica arteria stradale Siracusa –Catana”.

- BRUCOLI – Territorio del comune di Augusta. Carta IGM 25.000 - F. 274°, IV, N.E. – WB 166259.

Della carraia a rotaie incassate, che anticamente portava alla punta settentrionale della penisoletta di Brucoli lungo la sponda destra del Canale, rimangono poche tracce, per l’estesa presenza di scarichi di inerti e di immondizie, e per l’utilizzo della zona come cava di pietre destinate alle fornaci di calce. L’interasse è mediamente di c. 135, mentre la larghezza dei solchi, non molto profondi, è di circa 25 cm.

- BANCO GISIRA – Territorio del comune di Augusta. Carta IGM 25.000 - F° 274, IV, N.E. - WB 149267.

Gli scavi dello Spigo in Gisira [Cfr. U. SPIGO, Brucoli, Ricerche in contrada Gisira, 1985, Kokalos.] portarono alla localizzazione di una “grande capanna” preistorica dell’età del Rame nel settore di NO del Banco. Gli scavi evidenziarono anche l’esistenza di un tratto di carraia a binari incassati nell’area dello scavo. La carraia, appena leggibile sul terreno, ha un interasse mediamente di cm. 150, e sembra svolgersi da est ad ovest.

- TORRENTE S. CALOGERO – Territorio del comune di Augusta. Carta IGM 25.000 – F° 274, N.E. - WB 105283.

In contrada S. Calogero, ai margini della strada che si innesta sulla statale 114 nei pressi del km. 125 e raggiunge Roccadia sulla Villasmundo-Carlentini, si svolge per buon tratto in direzione est-ovest una carraia a binari incassati, che sembra costeggiare il torrente S. Calogero lungo la sua sponda sinistra, in contrada Casitte. L’interasse è di circa 145 cm., mentre l’ingombro totale e di circa 200 cm. La carraia interseca un villaggio dell’età del Rame, evidenziato da buche per pali di capanne e da industria litica e fittile attribuibile a tale età.

Tale arteria è possibile che abbia connessioni con altro tratto di carreggiata che, più a est, interessa la contrada Ficatazzi.

- QUARANTAMIGLIARA – Territorio del comune di Augusta. Carta IGM 25.000 – F° 274, IV N.O. – WB 246188.

Ai piedi della spalla di ovest del Monte Tauro, lungo una trazzera che congiunge Quarantamigliara a Pezza Grande, si notano scavate della roccia calcarea delle carraie a binari incassati. Il loro interasse è di circa 150 cm. La trazzera, che sembra abbia avuto sviluppo lungo tutta la fascia occidentale del Tauro (come la via Marina del Monte percorre tutta la costa di est), costeggia una necropoli del Bronzo medio, le cui tombe residue, in n. di 8 [Cfr. R. LANTERI, Augusta e il suo territorio – Distretto Scolastico 58 Augusta, 1997, Maimone ed.], sono state fortunatamente, ad oggi, risparmiate da cave di pietra.

- COSTA MENDOLA – Territorio del comune di Augusta. Carta IGM 25.000 - F° 274, IV, S.E.- WB 143221.

Nei pressi della masseria Pitruzzello, in contrada Mendola, si leggono sulla roccia calcarea deboli tracce di carraie a binari incassati. L’interasse è di ca. 130 cm. Il loro sviluppo va da NE a SO costeggiando in parte una trazzera che, ad ovest, raggiunge il fiume Mulinello. Vasti lavori di cava per l’estrazione dei materiali utilizzati per la realizzazione della vicina superstrada, impediscono di seguire sulla lunga distanza le carraie, ma non può escludersi che le stesse siano una continuazione delle carraie rilevate in contrada Mangano, le quali in tal caso guaderebbero il Mulinello sotto costa Mendola [Anno 339 a.C. Timoleonte ed Iceta si scontrano in un luogo imprecisato, tra Siracusa e Lentini, chiamato Kalauria (Plutarco, vita di Timoleonte). Questa località, che Orsi (op. cit.) chiama borgata, e Strazzulla (Storia ed Archeologia di Trotilon, Xiphonia ed altri siti presso Augusta di Sicilia, in Arch. Stor, Sic., 1899) definisce un “forte”, non è stata ancora identificata. L’Orsi non ha dubbi, e pone Kalauria a “poche centinaia di metri dalla collina del Molinello”, tra contrada Mangano e Costa Mendola; altrettanto sicuro è lo Strazzulla che identifica Kalauria nella Turris Galeagra, di cui Livio XXV, 23, a nord di Siracusa, in prossimità dell’insenatura di Trogilos. La scelta dell’Orsi fu dettata dalla constatazione che, tra costa Mendola e Contrada Mangano, il Mulinello che in quel tratto ha la forma di un bastone ricurvo (calaurops è il bastone ricurvo dei pastori greci), registra una forte depressione delle opposte sponde, il che avrebbe permesso a Timoleonte di inseguire facilmente le truppe di Iceta oltre il fiume, e vincerle.].

- BERNARDINA – Territorio del comune di Melilli, limitrofo a quello di Augusta. Carta IGM 25.000 – F° 274, IV, S.O. – WB 113164.

Un tratto di carraia a binari incassati esiste tra le contrade Bernardina e Pianazzo, nei pressi del trivio Augusta-Melilli-Villasmundo. L’interasse è di circa 150 cm. mentre l’ingombro totale è di circa 175 cm. I binari, che hanno sviluppo est-ovest, costeggiano alcune tombe a grotticella artificiale dell’età del Bronzo antico (fase culturale di Castelluccio), che si aprono nella roccia ai margini dell’attuale strada, e sembrano dirigersi verso la cava del Cucuzzaro, dove esistono abitazioni rupestri, ed altre tombe del Bronzo antico [Cfr. P. ORSI, La Necropoli sicula di Melilli (Bernardina), in B.P.I. a. XVI, 1890.]. In prossimità del trivio, dalla carraia si diparte un altro binario, il quale si dirige verso la strada asfaltata (dalla quale viene interrotto), e per essa verso il trivio attuale, come ad anticipare quella che poi sarà la situazione viaria di oggi.

- INTERRATA-PANTANO – territorio del comune di Carlentini. Carta IGM 50.000 – F° 641 Augusta.

In contrada Interrata-Pantano, territorio di Carlentini, su una spianata calcarea che degrada verso la “riva” meridionale del Pantano in una serie di gradini morfologici che denunciano antiche linee di riva, si sviluppa da NE a SO un sistema di carraie a binari incassati, che almeno in un tratto, per quanto ci è stato possibile vedere, sono doppie e affiancate. L’interasse e l’ingombro totale sono mediamente di cm. 140 e 170.

La strada interessa un villaggio castellucciano del Bronzo antico, evidenziato da buche per pali di capanne e da poca industria litica e fittile. I reperti recuperati in superficie sono stati depositati presso la Soprintendenza ai beni archeologici di Siracusa.

Per definire la funzione di tali carraie, che non è semplice come si è portati a credere, dobbiamo spostare ora la nostra attenzione sul vicino arcipelago maltese, dove le carraie a binari incassati – cart trackts o “solchi di carri”, secondo lo Zammit [Cfr. T. ZAMMIT, Prehistoric cart-tracks in Malta, in Antiquity, 1928.], cart ruts o “rotaie” secondo il Bernardini [Cfr. E. BERNARDINI, Guida alle civiltà megalitiche, FI, 1977, Vallecchi.] – sono numerose ed hanno posto problemi agli studiosi quando si è voluto interpretarle. Ha scritto lo Zammit: “…They consist of pairs of parallel groves run straight and now curved as if avoiding an obstacle or having to change their direction…” (Esse consistono in una coppia di scanalature parallele che si snodano su lunghe distanze nella dura pietra calcarea corallina, ora dritte oppure curve come a dover schivare un ostacolo o cambiare la loro direzione). Spesso i binari risultano affiancati, come oggi in una stazione ferroviaria, forse per permettere l’incrocio di più veicoli che si muovono nella stessa direzione, ma in senso contrario.

L’interasse è di circa 137 cm., mentre la larghezza dei singoli solchi, che hanno per lo più forma a V, è da 25 a 50 cm. in superficie, e di ca. 10 cm. in fondo.

L’interpretazione delle cart ruts maltesi non è univoca presso i vari studiosi, poiché una qualsiasi loro definizione contrasta spesso con quanto una lettura critica della realtà archeologica può suggerire. Poiché le carraie a binari incassati del nostro territorio e dei territori limitrofi non esulano da tali scompensi interpretativi, conviene esaminarne alcuni.

È assiomatico che una carraia, almeno ritenuta tale, debba avere connessioni con la ruota. Il veicolo poteva avere due o quattro ruote. Per Malta, Bernardini ipotizza l’uso di slitte, benché il loro uso non sia stato provato per la mancanza in posto di modelli cui rifarsi; ma esclude in certi casi la trazione animale, per la forte pendenza di alcuni tratti di carraia (fino a 45°), pendenza che non può essere superata da un animale al traino di un veicolo benché leggero. È opportuno ricordare in proposito che il nostro territorio non ha mostrato ad oggi segni di carraie a binari incassati in forti pendii, quindi l’uso di una slitta, naturalmente trainata dall’uomo, non è necessariamente proponibile. Ma è ipotizzabile l’uso del carro; il quale è una invenzione antica, ed il suo uso è già conosciuto dalla preistoria.

È stato datato alla metà del III millennio a.C. un carro votivo in bronzo, fornito di due basse ruote piene, proveniente da Tel Agrab (Mesopotamia); il carro, tirato da quattro animali, ha a bordo una sola persona (A. PARROT: I Sumeri, Mi 1981, pag. 157). Ur (il cui nome è in Genesi XI, 31), l’attuale Muggayyar (o Mugeyer) mesopotamica, città sumerica e capitale dinastica, anch’essa del III millennio, conosceva il carro a quattro ruote, come testimoniamo le c.d. “tombe reali” nella ricostruzione di C. L. Voolley (Ur excavations, II, tav. 30 in Parrot, cit. passim). Ma il carro in Mesopotamia è accertato già dal IV millennio. Più tardi, nel mondo meraviglioso di Erodoto (IV, 183, 4), i Garamanti, che montavano carri a quattro ruote, davano la caccia al popolo etiope dei Trogloditi, o abitanti delle grotte.

Gli Assiri non sono di meno dei Sumeri. Al carro da battaglia montato da arcieri (IX sec. a.C.) si affianca un tipo di carro fornito di due grandi ruote raggiate e tirato da buoi, la cui tipologia porta a stabilire stupefacenti confronti con il carretto siciliano. Assurbanipal II, re d’Assiria, li utilizzava entrambi in guerra.

Dello stesso periodo sono i dipinti murali di Til-Barsib (Tel Ahmar), capitale dello stato aramaico di Bit-Adini nell’alta Siria (Salmanassar III), che raffigurano arcieri, che cacciano leoni, montati su bighe (A. PARROT: Gli Assiri, Mi, 1981, passim). La caccia al leone e al cervo, e scene di battaglia, si osservano negli ortostati a rilievo ittiti (IX-VIII sec. a.C.) di Malatya (Arslantepe), di Karkemish, di Sakçagozii, dove personaggi montano cocchi trainati da un solo animale. Le ruote sono piccole, ma sono munite di raggi (K. BITTEL: Gli Ittiti, Mi, 1983, passim).

Chiudiamo questa breve rassegna, precisando che a Creta il carro è conosciuto dal 1500 a.C., in Cina del 1300, mentre in Europa tale mezzo di trasporto sembra essere comparso nella tarda età del Bronzo. Diciamo: “sembra”, perché alla fine non si possono tirare fuori argomenti dal silenzio delle risultanze archeologiche, che, almeno da noi, non forniscono dati utili a costruire teorie sull’uso della ruota e quindi del carro, attraverso disegni o modelli, e per tutta la durata della preistoria. Di conseguenza ogni nostra supposizione, ogni nostra ipotesi, hanno origine nella puntuale verifica di quanto della viabilità antica ci rimane: proprio le carraie a binari incassati, le quali, ripetiamo, sono difficilmente databili. Ritorniamo quindi sui luoghi dove le carraie si sono conservate e cerchiamo di leggerne l’intrinseco significato archeologico.

Le carraie che abbiamo rilevato nel territorio esaminato si possono dividere in due categorie, ognuna delle quali presenta proprie caratteristiche:

- Binari “abrasi” dalle ruote dei carri per il lungo attrito che, sebbene in movimento, una ruota produce. Tali carraie sono poco incise ed interessano, per come è possibile osservare, parti piane della platea calcarea, o tratti obbligati dalle condizioni del terreno. Più che di binari incassati, si tratta di deboli tracce lasciate, come abbiamo detto, dalle ruote.

- Binari “costruiti” dall’uomo, per far sì che il carro, anche in terreni rocciosi diseguali, in presenza di ostacoli rappresentati da sporgenze rocciose, da brevi salti, insomma da una platea rocciosa decisamente irregolare e accidentata e, talvolta, inclinata lateralmente e a maggior ragione in prossimità di dirupi, potesse muoversi agevolmente ed in sicurezza, senza particolari sbandamenti o possibilità di danni al carico trasportato. Solchi profondi oltre 50 cm. si notano a Bernardina e a Cozzo Telegrafo, il che fa ritenere l’uso di ruote molto alte, sul tipo di quelle montate nei carretti siciliani, mentre sarebbero da escludere le c.d. carramatte che montano normalmente quattro (ma talvolta anche due) ruote basse, il cui asse avrebbe potuto essere danneggiato da sporgenze rocciose.

Alla prima categoria si possono assegnare le carraie rilevate dallo Spigo sul Banco Gisira, in corrispondenza del villaggio preistorico eneolitico, che attraversano. Tali carraie sembrano dirigersi verso ovest, dove esiste, sul cocuzzolo più alto, un “insediamento” greco di V-IV sec. a.C. (Spigo, cit.), evidenziato da ceramica attribuibile a tale periodo, e da alcuni manufatti intagliati in roccia, quali vasche, e buche rettangolari e rotonde per il probabile alloggio di pali di legno. Sul cocuzzolo (quota 96 s.l.m.m.) non sono state rilevate ad oggi tracce di frequentazione preistorica.

Ancora a questa categoria possono essere attribuite le carraie che da Quarantamigliara portano a Pezza Grande; qui i binari sono per buona parte dovuti all’attrito delle ruote, che hanno inciso la tenera roccia calcarea, ma ci si trova anche in presenza di solchi incisi profondamente lì dove esistono ostacoli naturali che una ruota non potrebbe agevolmente superare.

La complessa situazione archeologica della costa ovest del Tauro, che evidenzia a sud, in contrada Scardina, tracce di frequentazione preistorica della prima età dei metalli in area fortemente interessata da ritrovamenti di materiali della tarda antichità e bizantini, mentre a nord, in contrada Quarantamigliara, una necropoli del Bronzo medio punteggia la falesia risparmiata dalle cave di pietra e, sempre a Quarantamigliara, una necropoli di età imperale si manifesta per alcune tombe a fossa rettangolare. Tale complessa situazione archeologica, alla quale sono da sommarsi alcuni ipogei funerari di età bizantina, non esclude l’esistenza di una strada “costruita” già dalla preistoria, la quale, di notevole importanza strategica, si sarebbe mantenuta attiva fino ai nostri giorni.

Alla seconda categoria appartengono le carraie di Cozzo Telegrafo, di contrada Mangano, di S. Calogero, di Costa Mendola, di Bernardina, di Interrata. Qui le carraie sono decisamente profonde, regolari, continue, sì da far ritenere che le ruote ne seguissero il tracciato così come le ruote di un treno “seguono” il tracciato dei binari. In prossimità di sporgenze rocciose, queste sono state intagliate profondamente, secondo una sezione regolare, in modo che il carro non potesse subire scosse: l’altezza di alcune sporgenze è tale da far ritenere che i carri fossero muniti di ruote molto alte. Quindi strade appositamente “costruite” per permettere il transito di mezzi muniti di ruote con il minor disagio possibile, anche in terreni rocciosi molto irregolari, dove un carro avrebbe difficoltà a muoversi o non vi potrebbe transitare affatto.

Conviene ora chiarire che tutt’e sei le località citate sono interessate dalla presenza di insediamenti preistorici post neolitici, in ogni caso dell’età dei metalli (età del Rame, prima e media età de Bronzo), per cui si può ammettere che, come a Malta, dove le carraie sono state associate alle locali culture preistoriche dell’età del Bronzo, anche la carraie del nostro territorio possono essere ritenute un prodotto “tecnico” di tali culture. Non è fuor di luogo ammettere anche che, come le grandi civiltà mesopotamiche, anche le coeve culture occidentali della prima età dei metalli (in ogni caso dalla fine del III, e del II millennio a.C.), conoscessero il carro il quale, se non necessariamente utilizzato per la guerra, permetteva alle vaie comunità di spostarsi agevolmente da un punto all’altro del territorio, certamente per fini economici.

Non è facile ignorare allora come il secolo scorso, che attribuiva alla più evoluta “civiltà” greca tutto quello che, superando i limiti accordati alle genti barbare, era segno di progresso e di civiltà, non abbia esitato a ritenere di produzione greca alcune carraie rilevate sul territorio provinciale, in quanto si riteneva improbabile che culture sicule, forse coeve alla Troia omerica, avessero avuto la capacità di costruire opere che richiedono intelligenza e capacità tecniche, quali possono essere considerate le carraie a binari incassati [Cfr. P. ORSI, Necropoli sicula presso Siracusa con vasi e bronzi micenei (Cozzo Pantano), in M.A.L. II, 1893, dove l’A., dopo aver segnalato “bellissimi avanzi di una via ruotabile con profondi e irregolari solchi o rotaie, aperte nella roccia” ed averne descritto il loro sviluppo, si sofferma “…sul sistema, al tutto primitivo, di costruzioni stradali greche, sistema di costruzione che è in piena ed aperta antitesi colla abilità e diligenza adibita dai Greci in tutti gli altri rami della ingegneria…”, e riconosce nel manufatto la Syracusis –Akrai. Ibd., Di un nuovo ipogeo greco scoperto nel predio Galletto presso Siracusa, N.S. 1892, dove un complesso sistema di carraie a binari incassati è ritenuto dall’Orsi la Elorìne edos. Delle carraie di contrada Mangano, ritenute dall’Orsi parte della Siracusa-Catana, abbiamo fatto cenno più sopra.]. La letteratura qualificata e corrente avendo voluto attribuire all’intelligenza greca la costruzione delle carraie, ha fatto sì che l’indagine archeologica spesso ne uscisse fuorviata, sì che si è dovuto ammettere, in assenza di particolari riferimenti, che le carraie sono di “difficile datazione”. A nostro parere una datazione (fors’anche relativa) è possibile quando si vogliano inserire tali manufatti in un contesto che tenga conto – come ha fatto G. Tomarchio [Cfr. G. TOMACHIO, Testimonianze di una antica strada nella Piana di Catania, in Atti del 3° convegno, cit.] quando ha voluto presentare le “Testimonianze residue di una antica strada nella Piana di Catania – dell’archeologia complessiva del territorio, ivi comprese le culture preistoriche quando esse si dimostrino sufficientemente organizzate e leggibili.

Si è visto che a Malta, come in Sicilia, l’età del Bronzo ha una sua struttura territoriale complessa e di vasto respiro; in Sicilia, siti come il Petraro per il Bronzo antico e Thàpsos per quello medio ne sono una chiara testimonianza. Non è necessario scomodare i c.d. poligoni di Thiessen [Cfr. C. RENFREW. Before civilization: the radiocarbon revolution and Prehistoric Europe, London, 1973, J. Cape ed., dove si analizza “…l’organizzazione territoriale di società complesse”, quale può essere già considerata quella “castellucciana” nel Bronzo antico, attraverso modelli matematici applicati al territorio.] per ritenere possibile una suddivisione del territorio tra comunità, come sono quelle del Bronzo antico, a prevalente struttura agricola, in modelli politici strutturalmente organizzati; e una comunità agricola sufficientemente organizzata, “castellucciana” nel nostro caso, ha bisogno di mezzi di trasporto funzionali all’attività svolta, sia essi carri o, come ipotizzato per Malta ma non provato, slitte trainate da uomini. Non esistono motivi logici che possano convincerci che in Sicilia nel III e II millennio a.C. il carro fosse sconosciuto. Se conosciuto nel Vicino Oriente già verso la fine del IV millennio, doveva necessariamente essere conosciuto in Sicilia, ove si tenga conto che proprio la Sicilia in ogni momento della sua “storia” , scritta o non, ha sempre recepito positivamente idee e tecniche, culti e riti, che talvolta hanno superato per complessità e spettacolarità i luoghi di origine; e sempre che si voglia escludere la possibilità che l’Isola abbia esportato idee e culti verso Oriente.

La presenza sul nostro territorio di una situazione così complessa per quanto concerne la “costruzione” di strade a binari incassati e, come nel caso di Cozzo Telegrafo e della Piana di Catania (località Piano Meta e Poggio Santalanea, carta IGM 25.000 – F° 270, III, S.O.- VB 979349) anche di trincee intagliate nella roccia per superare ostacoli rappresentati, per esempio, da selle o gradini, può suggerire solo una ormai consolidata e generalizzata condizione per cui il veloce muoversi da un punto all’altro del territorio era ormai riconosciuta quale inderogabile necessità. Ma in quale momento della lontana preistoria la ruota, ovvero il carro, ha fatto la sua comparsa nel territorio augustano? A questa domanda, in assenza di riscontri archeologici, è difficile rispondere. Le carraie di Brucoli, che costeggiano la sponda destra del Canale prima di raggiungere l’abitato, non sono ad oggi facilmente interpretabili. L’archeologia delle numerose grotte non ha avuto ancora una sua chiara definizione, e si ha difficoltà a inserirle in un momento ben definito della storia del Canale.

Ipotesi non ne sono mancate e non ne mancano tutt’ora, e molte convergono a dimostrare che il Canale in effetti è stato nel passato (ma quale passato, se la storia di Augusta comincia a balbettare le sue prime scarne confuse pagine, e con difficoltà, nel tardo medioevo?) un attivo porto che, come l’Agnone per la Leontini greca e bizantina, fungeva da caricatore di grani; il che è possibile. Ma l’archeologia del Canale, ripetiamo, è ancora tutta da scoprire, e quindi ipotizzare una connessione tra le carraie e il Canale stesso in quanto funzione economica di notevole importanza è difficile da assumere; ma non impossibile, tenuto conto che manchiamo di dati che dimostrino il contrario.

Gli unici indizi archeologici (a parte quelli riguardanti il Castello, la cui presenza evidentemente ha inciso nella vita del Canale), che è stato possibile desumere da superficiali ricerche, sono quelli relativi al villaggio preistorico a ceramiche impresse e incise (evidenziato peraltro da numerose buche per pali di capanne scavate nella roccia, e da poca industria litica e fittile), il quale, posizionato sulla estrema punta settentrionale, nei pressi del Castello, certamente controllava, con gli altri villaggi coevi di Punta Tonnara e Punta Bonìco, la baia di Brucoli e, forse, lo stesso Canale: forse, abbiamo detto, perché l’importanza del Canale quale porto funzionale, tecnicamente valido e definito, è alla fine relativa. Lo si deduce per esempio dalla relativa importanza attribuita ancora in tempi relativamente recenti al Canale dagli stessi abitanti di Brucoli, i quali sembra che lo utilizzassero in mancanza di migliori approdi [I greci usualmente tiravano a secco le loro navi sulla spiaggia e, in tempo di guerra, le recintavano con steccati. Conviene tener presente che il Canale di oggi non è lo stesso di alcuni millenni addietro, se viene preso in considerazione che, dal Neolitico ad oggi, il mare, per effetto della perdurante Trasgressione Flandriana, e per fenomeni di bradisismo (insignificante l’incidenza del fenomeno di eustatismo), si è alzato da 7 a 10 metri. Cfr. in proposito B. ACCORDI, Rapporti fra il Milazziano della costa iblea (Sicilia sud-orientale) e la comparsa di Elephas mnaidriensis, in Geol. Rom., II, 1963. Quello che oggi è il Canale, qualche migliaio di anni addietro era probabilmente il greto di un torrente, non necessariamente sabbioso, il quale nei momenti di piena avrebbe trascinato via qualsiasi nave vi fosse stata ormeggiata.].

Così recita sorprendentemente una petizione inviata da una cooperativa di pescatori brucolani il 13 maggio 1947 al Genio Civile ed alla Capitaneria di Porto di Siracusa, ai quali si sollecitava la costruzione di un porto a Brucoli [Documento depositato presso la Capitaneria di Porto di Siracusa, che gentilmente ne ha permesso la visione.]: “…Il porticciolo di Brucoli si presenta come una spiaggia a forma di quadrilatero irregolare, con apertura NNW-NE circa, con fondali bassi in vicinanza delle spiagge; di natura rocciosa in prevalenza nei lati di levante e di ponente del porto, e di natura sabbiosa frastagliata di alghe nel lato di mezzogiorno e in tratto dal lato di ponente che lambisce la parte meridionale della borgata omonima. Così come è conformato il porto non offre riparo per i venti e il mare che scaturiscono dal 1° e 4° quadrante. Né tampoco il porto à dei bracci artificiali e anche frangenti che potrebbero attenuare l’azione del vento e del mare. Si può dire quindi che quando spirano i venti dalle suddette direzioni che dalle nostre parti accade sia in inverno che in estate, il porticciolo di Brucoli si può considerare come una spiaggia aperta. Quel che è peggio sié l’azione del mare nel tempo e il continuo ammassarsi di detriti hanno ridotto i suoi già bassi fondali a cifre irrilevanti diminuendo vieppiù la sua sicurezza e la sua praticabilità…”.

Per la cronaca aggiungiamo che sia tale petizione, che un’altra inviata l’anno successivo, non sortirono alcun effetto. Lo Stato optò per il risparmio, e quindi diresse la sua attenzione al Canale: il quale, interrato dai trasporti limosi e sabbiosi del Porcaria, quindi difficilmente praticabile per grosse barche da trasporto, l’anno 1952 fu dragato per una estensione di ca. 600 metri di lunghezza e di metri 50 – 20 di larghezza. Dalla imboccatura e per 200 metri il fondale fu portato a – 5 metri, per gli altri 400 metri si realizzarono fondali da – 5 a – 3 metri.

L’attività economica prettamente marinara della borgata (ma anche quella agricola e industriale), condizionata dalle scarse possibilità ricettive del Canale quando non soggetto a manutenzione, è possibile che si sia avvalsa, fino a tempi relativamente recenti, dell’attuale maglia viaria formata da piste naturali, in roccia o lungo la nuda terra – il macadam è una tecnica d’impianto stradale che risale alla fine del 18° secolo, e l’asfalto da noi si può ritenere post bellico [Màcadam: tipo di massicciata stradale, che prende il nome dal suo inventore, lo scozzese Iohn Loudon Mac Adam, 1756-1836.] – le quali seguivano, ieri come oggi, i migliori percorsi offerti dalla natura del terreno e dai vincoli di confine tra le diverse proprietà; ma non particolarmente idonee a supportare il tipo di economia del villaggio che utilizzava, prevalentemente e per ovvii motivi, la deportatio ad aquam sia per il commercio del pescato che per quello della calce, che veniva prodotta in loco [Sono ancora visibili alcune fornaci (una delle quali è stata disegnata da Elio Salerno), che gravitano nell’area di Brucoli. Riteniamo che sarebbe azione intelligente attivare, da parte della pubblica amministrazione e dagli organi preposti alla tutela e conservazione del Bene Culturale, le pratiche perché qualcuna delle fornaci superstiti venga conservata alla memoria, almeno così come ci è fortunosamente pervenuta.] ed aveva stabilito fiorenti mercati a Catania e nell’interno dell’Isola, dove i calcari bianchi sono rari o assenti.

È possibile congetturare allora che la carraia a binari incassati che si dirige a Brucoli abbia avuto origine nella necessità di collegare le grotte del Canale alla campagna già dalla lontana preistoria, ove si voglia ammettere che l’attività economica dei vari insediamenti preistorici del territorio, già dalla fine del Neolitico e con l’avvento dei Metalli, abbia avuto bisogno di una maglia viaria consolidata, pre-tracciata, adatta al tipo di economia che non è più di mera sopravvivenza, ma produttiva, e presuppone commerci; la quale, già dalla preistoria del nostro territorio, è possibile che abbia stabilito dei terminali (dei caricatori, come più tardi verranno chiamati) lungo la costa, e quindi anche nel Canale [Altri caricatori si riconoscono sia nella baia di Arcile, dove il toponimo Fondo di Mare (dall’arabo funnuq-fondaco) richiama decisamente un Fondaco di Mare, che in Agnone, o Angluni, nella accezione di Angolone o Angolo, dove le navi potevano approdare con facilità, almeno in assegna di particolari perturbazioni.].

Che la carraia a binari incassati di Brucoli possa essere stata collegata, per esempio, a quella di Cozzo Telegrafo non è da escludersi, se vogliamo ritenere naturale che un carro venga costruito per muoversi anche sulla lunga distanza; e non perché l’interasse delle due carraie sia all’incirca della stessa ampiezza, ma anche perché, infine, riconoscere contatti tra comunità culturalmente affini e, quello che più conta, confinanti, non è particolarmente difficile, anzi aiuta a meglio capire l’organizzazione territoriale di culture che, per esempio, come quella castellucciana, si sono organizzate in modo capillare sul nostro territorio, compresa la Gisira, che sul Canale si affaccia, ma trae vita anche dal torrente Porcaria.

Tuttavia, la carraia a binari incassati di Cozzo Telegrafo ha posto problemi. Vicina com’è ad un luogo di culto (delle edicole votive ricavate nella roccia a margine della cava di pietre e dell’attuale strada), non è stato possibile ignorare fino ad oggi connessioni tra i due manufatti. E tuttavia niente porta ad escludere che la strada, “costruita” già nella preistoria, si sia mantenuta attiva ed utile anche in età storica.

Il Cozzo Telegrafo ha evidenziato una complessa archeologia [Sull’archeologia di Cozzo Telegrafo, si rimanda a I. RUSSO et A., Augusta e territori limitrofi – I – Preistoria, suppl. n. 5 all’Arch. Stor. Sirac., 1966.]. Dal lontano Paleolitico superiore, fino ai nostri giorni, l’uomo ha abitato o frequentato le cavità del Diavolodopera, dove ha sempre lasciato testimonianza della sua presenza. Quindi, in mancanza di convincenti indizi, una attribuzione della carraia a culture tarde, greche ad esempio, ha lo stesso valore della ipotesi che attribuisce a culture dell’età dei Metalli, che nel Cozzo sono ben rappresentate, il primo impianto della strada.

Insistiamo a privilegiare la cultura castellucciana, in quanto tale cultura è presente, come abbiamo detto, anche nella contrada Interrata di Carlentini, a Bernardina di Melilli, ed in contrada Mangano, dove i villaggi e le necropoli sono interessati dalle rotaie in modo che noi riteniamo funzionale agli insediamenti stessi. Coincidenza? Non ne siamo certi, dal momento che i confronti con le carraie maltesi e con quelle della Piana di Catania si sono rivelati utili a supportare tale ipotesi. E ancora, ci obbliga a non ignorare tale ipotesi il fatto che le suddette carraie non sono la conseguenza del lungo attrito delle ruote, ma il prodotto della volontà dell’uomo, della sua capacità tecnica, che quelle carraie ha voluto e realizzato nella roccia.

La carraia di contrada Mangano sembra congiungere una serie di villaggi preistorici della prima età dei Metalli posti lungo il Mulinello (Cozzo del Monaco, con archeologia del tardo Neolitico a ceramiche impresse e incise, del Bronzo medio e paleocristiana, contrada Mangano in particolare che registra una necropoli castellucciana, Fondo Gallina con strutture rupestri ancora da interpretare, ed altra archeologia tardo-antica, Petraro con la sua complessa organizzazione urbana ancora tutta da studiare), che dovevano conoscere ed utilizzare il carro. A voler inserire le carreggiate a binari incassati, di cui discorriamo, in un quadro organico teso ad illustrare la viabilità preistorica, e la sua funzione sui mercati e sulla evoluzione delle incipienti culture ad economia produttiva, quali sono quelle post-neolitiche, ci si imbatte in modo ricorrente in un contesto territoriale che, valorizzato dalle carraie, queste a sua volta valorizza.

Così abbiamo le carraie di Costa Mendola, di Contrada Mangano, di Cozzo Telegrafo, di S. Calogero, di Bernardina, che sembrano svolgersi lungo il corso di fiumi e torrenti (Molinello, Cantera, Porcaria, S. Calogero). Ma anche le carraie di Interrata e di Quarantamigliara sembra abbiano svolto un ruolo notevole, positivo, quale funzione tesa a valorizzare vasti comprensori: quelle di Interrata certamente avevano connessioni con il Pantano, da S. Demetrio alla stessa Interrata, da Leontini al mare quando il bacino idrico, oggi prosciugato e con altitudine più bassa del livello medio del mare, era al mare collegato, prima che la foce del S. Leonardo, forse l’antico Teryas, migrasse ed ostruisse con i suoi apporti sabbiosi il canale che probabilmente collegava il c.d. porto di Lentini alla spiaggia; quindi la carraia di Quarantamigliara che, svolgendosi probabilmente lungo tutta la fiancata di ovest del Tauro, collegava gli insediamenti antichi – tra questi le masserie di retaggio forse tardo imperiale – così come oggi collega la moderna struttura agricola al golfo Xifonio ed all’abitato [Per le presenze antiche sulla fiancata occidentale del Tauro, cfr. R. LANTERI, cit.].

Viene quindi confermato che lungo i fiumi, sulle rive del mare o lungo le sponde di laghi, l’uomo ha trovato sempre le migliori condizioni di vita, e vi si è installato. Assetti territoriali antichi, preistorici, presenti sul nostro territorio, è possibile che abbiano tenuto conto di questo dato costante, sviluppando tecnologie che hanno avuto bisogno delle carraie a binari incassati, le uniche testimonianze che ci sono rimaste per comprendere come la circolazione del bene sia sempre stata tra gli interessi primari dell’uomo.

Cozzo Telegrafo, Augusta. Carreggiata a binari incassati.


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