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«Desiderare altrimenti»: nove racconti nei quali invenzione e immaginazione, riflessione psicologica e spunti filosofici si intersecano e si sovrappongono nelle pennellate asciutte e insieme fortemente espressive che caratterizzano uno stile narrativo quasi pittorico, assolutamente originale.

Nove quadri molto diversi tra loro, quelli che il libro propone, percorsi tuttavia da un filo comune: le possibili, o impossibili, declinazioni del “desiderare” e l’alterità e l’altrove che costituiscono motivazione e meta del desiderio e dell’agire desiderante.

Sullo sfondo traspare a volte una realtà ostile, misera, violenta, dove il desiderio sospinto da Eros, orfano di riconoscimento e di risposte, si rivolge al suo contrario, Thanatos, e trova una qualche scintilla di senso nelle “lucciole” che compaiono nel breve istante del morire, quando si palesa l’anima smarrita.

Desiderare dunque di morire oppure, per sottrarsi a un quotidiano dove tutto appare scontato, appiattito, insignificante, o insopportabilmente doloroso, desiderare persino di non nascere, di rimanere barricati in quel non luogo che preclude la nascita, in quel pieno che cancella ogni mancanza, “ostaggi” del proprio desiderio di non vivere e non desiderare in un mondo che sembra non offrire alcuna possibilità di relazione.

Soffocato dalla letteralità o dalla rigidità della storia personale e del conformismo culturale, il desiderio si protende anche verso l’infinito. Dalla fuga nella follia, quando si tramuta in brama di potere e oltrepassa il confine del possibile (“Inganni”); alla ricerca dell’immortalità, quando il terrore della finitezza induce a dialoghi improbabili (“Dalle mie sere in casa”); alla ricerca della Verità, quando ignora le contraddizioni (“Ospedale Paradiso”, “Polvere di stelle”), il desiderio d’infinito inciampa inevitabilmente nell’ostacolo del tempo.

Il tempo, scandito dalla cadenza stessa del testo, dal ritmo e dalle sue onomatopee, è non solo ostacolo imprescindibile all’onnipotenza, ma anche tempo vissuto nel peregrinare dietro qualcosa che non si conosce (“Ara Coeli”): per le strade e le piazze di una Roma com’era duecento anni fa, di cui l’autore restituisce con efficacia luci, colori, suoni, atmosfere, attraverso i lampi e le sonorità di una scrittura a tratti poetica. Un desiderare inizialmente oscuro e imprecisato, sollecitato giorno per giorno dall’incontro con Roma e il suo mistero, si trasforma progressivamente nell’esperienza spirituale di una conversione: «Di fronte all’Ara Coeli. Porta d’accesso in cima a scalinata. Sollevando il saio sulle gambe: affrontare mancanze. Sulle ginocchia, di scalino in scalino: per tutto ciò che non sono stato... per tutto ciò che non sono... per tutto... Ripetere fino alla sommità» (p. 145).

Un incontro con la trascendenza, quale Altro da sé, ma anche con la dimensione interiore dell’anima, anch’essa Altro da sé, che accende la possibilità di riflessione e confronto, condizione della nostra umanità.

«Amica mia, ancora una volta devo ringraziarti per il miracolo che mi hai regalato. Senza di te la sera è solo sera» (p. 120). Così si apre la lettera all’Anima che conclude “Con le donne di sera”, dove maschile e femminile si incontrano, si scontrano, si cercano, si respingono, nel gioco affabulatorio di un maschile che fa i conti con le difficoltà di relazione e con le infinite declinazioni del desiderio tra i sessi che troppo spesso si riduce a desiderio di possesso, potere, sopraffazione, annullamento. Sopraffazione di sé e dell’altro, quando prevale la brama del corpo-cosa e a desiderare non è il soggetto ma il suo impulso biologico; annullamento di sé e dell’altro quando domina la nostalgia del pieno e a desiderare è un vuoto originario che non si può colmare.

L’altrimenti, che si rivela qui cifra non secondaria del testo, svincola il desiderare dall’obbligatorietà dell’istinto (sessuale e non) e del bisogno (principalmente affettivo) e lo consegna alla creatività infinita della fantasia: «Perché non diversamente… in altro modo…? Ad esempio scuotendo i tuoi capelli, ottenere scintille luminose che si diffondono per il corpo intero, mentre le mie, diffuse dalle mani, lo ripercorrono inseguendo luci, dove si fondono, scompaginano, trasformano. Con la voce, che un po’ magicamente, traccia contorni incerti di parole. Nascere così: sarebbe bello» (pp. 120-121).

Un desiderio dell’anima per l’anima, potremmo dire, l’“altrimenti” del “desiderare” che l’autore dipinge anche nell’ultimo racconto che dà il titolo alla raccolta: un uomo e una donna che, «sera dopo sera», imparano a incontrarsi in modi inusuali, lasciando che il corpo, frastornato e deviato dalle note di Bach, conosca il “no” che apre al desiderio dell’anima lo spazio per immaginare alternative: «Devo chiederti una cosa… Tu, però, prometti che mi dirai di no» (p. 157).

In un’epoca in cui domina la scena il corpo mercificato, reso inespressivo dall’ostentazione, e l’invito prevalente è al godimento immediato, all’inderogabile soddisfazione di ogni voglia, vera o indotta che sia, il libro solleva una voce diversa, un richiamo alla complessità dell’umano, alle sue contraddizioni costitutive. Eros ha bisogno di Thanatos, come l’impulso della riflessione: nel limite tracciato dai contrari lo spazio di una ricerca di senso.
Recensione
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