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Uno degli interrogativi più inquietanti, più tragicamente forti, della
letteratura e della cultura del novecento chiedeva e si chiedeva se fosse ancora
possibile la poesia dopo Auschwitz. Oggi, in tempi in cui il dovere della
memoria sembra scontrarsi con una realtà sorda, indifferente, ci sono autori che
si domandano con coraggio se un orrore tale sia raccontabile poeticamente. E’ il
caso di Luciana Tedesco Bramante che nel testo «notte e nebbia» mette in scena
le ansie, i sentimenti, la disperazione dei deportati. E’ una varia umanità
franta, decomposta, sola, che affida in un pensiero, in un grido, il vertice di
sé. Sono slanci in cui il terrore e la rassegnazione, la dignità e la rabbia
sembrano inghiottire il passato e il presente, per fissare in un’immagine un
dolore e un crimine senza eguali. Come ha evidenziato Domenico Cara, sono chiari
degli echi da Lee Master, ma in questo caso colti prima della morte. Sono uomini
e donne che nella spossatezza e nell’umiliazione cercano ancora tracce di quella
dignità che li definisca per sempre. Questi flash sono la grazia (sì: grazia)
riuscita dell’autrice che libera i suoi personaggi in un’aurea insieme
accusatrice e salvifica. Da questo testo (finalista all’ultima edizione del
Premio Anna Borra, promosso da Silvana Folliero) è stato tratto l’adattamento
teatrale curato da Italo Squillace e rappresentato a Roma al teatro Tirso con
titolo «Voci dell’Olocausto». La scelta del regista pone la scena a mo’ di
quadro espressionista dove il grottesco e l’infame colpiscono e risucchiano lo
spettatore in quell’opera di aberrante e premeditata snaturalizzazione degli
individui. Abbandonati nell’anticamera della morte, i moribondi si mescolano ai
cadaveri aprendosi agli ultimi, estremi squarci della coscienza. I giovani
attori si muovono bene in quest’atmosfera cupa e incombente. Merito
dell’adattamento è di aver circoscritto le voci recitanti entro un non lungo
lasso di tempo, evitando di far scivolare l’impianto in pesanti ripetizioni di
tono.
E qui non si scioglie comunque il dubbio: come è raccontabile e
rappresentabile l’Olocausto? Al termine l’intervento di alcuni membri
dell’Associazione Nazionale Ex Deportati ha palesato ancora una volta l’assenza
di una memoria storica in raccordo tra le diverse generazioni, mentre rigurgiti
pericolosi si profilano nel cuore stesso dell’Europa (Haider?). Ed allora, da
queste pagine, amplifichiamo l’auspicio dell’autrice augurantesi l’intervento
delle scuole per eventuali spettacoli futuri. Infine, un mio personale
ringraziamento alla Bramante stessa e al papa Giovanni Paolo II per la sua opera
di revisione e comunione in Gerusalemme.
Dramma.it
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