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Passaggi di confine
Quello di Marisa Papa Ruggiero è un nome certo non nuovo nel panorama poetico
nazionale, soprattutto non ovvio per un percorso in sé mai banale, mai
definitivamente e criticamente compiuto ricco com’è, tra l’altro, di rimandi
alle applicazioni e alle interrogazioni delle Arti visive, altro genere con cui
in un gioco aspro e baluginante forse da un tempo ancora più lontano lei stessa
si misura. Sentieri dunque, infinitamente e labirinticamente paralleli, che in
questo agile libricino si biforcano e si intrecciano in una modalità di tensione
ora respingente ora assorbente dentro una lingua- mai sopita- che proprio entro
questi rovesciamenti continuamente si prova e si nutre. Degna veste allora ci
appare la collana di Arte-Poesia “Coincidenze” delle Edizioni L’Arca Felice
curata da Mario Fresa e corredata, oltre che da alcuni interventi visivi dell’
autrice e da una breve antologia critica, da un interessante incontro-dialogo
tra il curatore e la Papa Ruggiero.
Perché il campo da lei attraversato è
partecipe di figurazioni e lacerazioni diverse, di sommovimenti e fonicità di
soglia, quasi preconscie, difficilmente catalogabili se non all’interno di una
sinestesia di espansione che solo, giustappunto, nei suoi “passaggi di confini”
può dire, o meglio, scandire le proprie metamorfosi e i propri tormenti in un
nominare quasi ontologicamente fondante perché azzerante che ci sembra, sì,
l’impronta vera di questa scrittura qui agilmente divisa in due sezioni,
“Asintoti viaggianti” ed “Energie di campo”. Sezioni che a ben leggere è facile
intuirne l’una dell’altra le derive di scena e i naturali – ma come detto mai
definitivi- approdi che già il termine asintoto sapientemente anticipa. Giacché
in una storia, la nostra, in cui nulla davvero mai ci viene saldato ma rimandato
in un tempo che quotidianamente gioca a smentirne i passi, ogni tensione in
realtà può rivelarsi un semplice spostamento di confine che ci avvicina
indefinitamente a un qualcosa ogni volta destinato a sfuggirci come curve le cui
prospettive non smettono di annunciarsi e insieme svanire.
Eppure è proprio in
questo costante rimando che l’arte della Papa Ruggiero si staglia tra energia e
risucchiante dolore in questo mistero che l’esergo di Kounellis con incidenza
dipinge in ogni canto che nella sua rivelazione muore. Ma che pure aiuta a
sopravvivere se pure quella rivelazione nel limite di una distesa che procede
per scarti e fratture, per automatismi e tra innumerevoli varianti, “mai
conoscendo l’intera casa | ma la radice quadrata | della stanza”, è
risonanza- ed eco- a muovere nuove note oltre il recinto. Perché ciò che
interessa qui, nel peso di una consegna che ci condanna al continuo
conteggio di noi stessi , è la spinta proprio all’ interno di ciò
che spezzando ci
rinchiude e ci nega il colore , quasi in una sfida umile a non
mancare più “ il solo scatto di congiunzione che spezzi il sistema”, grazie
alla misura di una possibilità continuamente ridetta e avvertita, pur nelle sue
insufficienze, pur nell’“imprevisto | di un gioco a incastro | sempre irrisolto
eppure”, come la sola forma di senso in grado di non far perdere i contorni a
quel “clandestino” che (come nel canto di Ulisse) nell’erranza in noi
continuamente ci compie e ci reinvia proprio nel mantenerci presenti, e vivi, ai
diversi segni di vita.
Presenza che poi forse è impronta oltre che della vita
anche d’ogni vera poesia, se e dove ogni incontro nelle interrogazioni è financo,
come detto, ripartenza per restare, come l’ultimo movimento di Asintoti
suggerisce, nella sola estrema consapevolezza dello sguardo e del corpo che in
questa poesia ha il valore non secondario di crinale e di voce che nelle sue
sospensioni assorbendo rimuove e riporta. Così nella seconda parte, in “Energie
di campo”, l’accelerazione e la direzione del verso nei fulminei sopralluoghi
delle sue istantanee, “forzando il punto del vero | che accoglie il non visto”,
in un movimento che è un andare verso il centro senza mai varcarlo, trova
nell’incisione la chiave d’apertura nelle infinità delle maglie, l’assunto base
di un flusso sempre in anticipo o in perfetta sincronia col visibile per sua
natura il visibile covando e vegliando nelle acerbità delle immagini. Ed è
quindi in questo incedere che “passa nel dopo ed entra in ciò che segue”, per
non interrompere quella scia di annunci che nell’attirare e nel respingere ci
salvano dalla trappola definitiva degli arrivi in cui l’io potrebbe davvero
perdersi, la bellezza vera di un percorso sempre criticamente e dolorosamente
attivo a dire dell’umano tutte le incrinature- e le meraviglie- delle proprie
inappagate imperfezioni. E che ha nello sforzo di avvicinamento a quelle figure
che nei segnali vogliono esistere diversamente, come nel colloquio con Fresa lei
stessa rivela, il segno irriducibile di una poesia e di un amore espansi. Motivo
questo che più apprezziamo del libro.
04 giugno 2013
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Recensione |
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