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Rinunciare alla forza senza per questo rinunciare a "essere forti". Idea che forse appartiene più alle parole che al mondo della pratica quotidiana, capace però di riproporsi nell'ambito della poesia. Per Renzo Cremona, traduttore dal cinese moderno e dal mancese classico, ma autore anche di una traduzione dall'afrikaans della poetessa Ingrid Jonker, alla parola poetica dovrebbe rimanere il compito di comunicare, rinunciando allo sperimentalismo ad ogni costo per privilegiare invece i contenuti.

Una tesi che sembra emergere durante la lettura delle Lettere dal mattatoio, raccolta poetica di Renzo Cremona, pubblicata nel giugno scorso dalle Edizioni del Leone (pagine 77, 12.00 euro). Eppure, anche dietro l'apparente semplicità di luoghi e sensazioni salta fuori il tormentato rapporto con il potere. Dalla volontà di potenza dell'individuo al "vicolo cieco" dove sembriamo costretti, imprigionati da quella che Cremona chiama "malattia del potere". Ossessione che contagia e che spesso inquina anche l'onestà dei migliori rapporti. Nelle "Lettere dal mattatoio" non sempre funziona il racconto di questo male, almeno quando l'autore si distrae, forse compiaciuto dalle metafore e meno attento alla corrispondenza tra la forza del titolo e gli effettivi contenuti dei testi. Altre cose però si nascondono sotto le righe. Per esempio, allusioni alla tradizione oracolare che accomuna la poesia ai testi della più remota classicità. Viaggio della parola che pare incontrare anche l'I Ching, il "Libro dei Mutamenti" della Cina arcaica ed antica ("i libri li ho consultati / le mappe le ho lette / i tracciati mi sono noti. Il tuo nome è quello di colui che se ne sta / nell'accampamento").

Dentro e fuori l'anima per incontrare il mondo, senza l'illusione che una silloge poetica sia in grado di cambiarne nemmeno un pezzettino.

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