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Iris, come dice l’autore in una Nota all’omonimo libro, è il quarto poemetto da lui composto sul tema degli Iòvi solagni (Lupi solitari): il primo apparve nel 1995 e s’intitola Cantada disperada. Ad esso fecero seguito Celtica (1997) e Zità en tra i crozzi (2001).

La lingua che Francescotti usa in questi poemetti è un dialetto trentino, che egli plasma e rende personalissimo, così da forgiarsi lo strumento più adatto alla propria compiuta espressione. E che sia riuscito pienamente nel suo intento lo dimostrano le poesie qui raccolte, nelle quali la parola si piega a tutte le esigenze del verso, con una resa davvero eccellente.

Nella sua ultima silloge “il lupo solitario è Iris, una donna che ha abbandonato la città per andare ad abitare nel maso della nonna da tempo scomparsa”. Da qui però ella resta in contatto con il suo uomo e con il figlio, attraverso le lettere che essi le scrivono e attraverso un cellulare che il figlio le ha regalato. Il che viene a temperare la sua solitudine, la quale d’altra parte costituisce una scelta da lei fatta allo scopo di vivere (come sovente avviene per i protagonisti dei libri di Francescotti) a diretto contatto con la natura.

Queste poesie costituiscono pertanto una specie di diario delle giornate di Iris, fatte di minimi eventi, ma ricche di profonde meditazioni sulla vita e sul mistero che essa racchiude. La poesia che ne scaturisce è piena di molteplici spunti e animata da un forte sentire che si manifesta in squarci lirici di notevole intensità e compiutezza.

Ne emergono così testi esteticamente molto risolti, nei quali l’intima umanità del poeta si sposa con la pacata felicità del suo dire. Si legga, ad esempio, la chiusa di “Nomenòmen”: “Te m’hai lassada chì || ti | co l’arfiar del mar en la ment | mi | con en la testa el lament | del segón entél bosch, | col spavent de l’arbol crodà” (Tu m’hai lasciato qui | tu | col respirare del mare nella mente | io | con nella testa il lamento | del segone nel bosco, | con lo spavento dell’albero crollato”); e si veda l’incipit di “Sol per compagna”: “sol per compagna | ... | la me vita solagna. || Zugo a scachi col Temp | e zerco de tirar | pu en lonc che poso la partìda” (Solo per compagna | ... | la mia vita solitaria. || Gioco a scacchi col Tempo | e cerco di tirare | più a lungo che posso la partita”).

Le lettere che Iris riceve da Marino, il suo uomo, e dal figlio, provenienti da luoghi lontani del mondo, le parlano di meraviglie intraviste e perdute, quasi magiche visioni, evocate con disinvolta scioltezza, nelle quali però sempre alita il soffio vivificante della poesia: “Te scrivo da Bankok, | Iris: l’è sera. | Soto en ziél incendià | la zità l’è tuta na lumiera. || I mili templi rivestidi de oro | cristài e madreperla | come le trentamili | statue del Buddha | i se dopia entéi canai” (Ti scrivo da Bangkok, | Iris, è sera. | Sotto un cielo incendiato | la città è tutta una lumiera. || I mille templi rivestiti d’oro | cristalli e madreperla | come le trentamila | statue di Buddha | si raddoppiano nei canali).

L’ultima lettera termina con una promessa: “Spèteme se te ghe la fai, | Iris, en dì | tornerò a casa” (Aspettami se ce la fai, | Iris, un giorno | tornerò a casa), ma noi sappiamo che non verrà mantenuta.

Notevole è poi in questo libro la conoscenza della natura dimostrata dall’autore, che emerge specialmente dalle citazioni di piante rare o poco note, come l’estragono, la santoreggia, la muscaria, ecc.

Poesia piana quella di Renzo Francescotti, formalmente asciutta e ricca di un profondo sentire, che sempre tocca l’animo di chi le si accosta. È per questo che essa è da ritenersi autentica, come del resto la considerarono uomini di lettere di indubbio valore quali Cesare Vivaldi e Giacinto Spagnoletti, rispettivamente nelle prefazioni a Cantada disperada e a Celtica, e come dimostra il suo inserimento in importanti antologie, quali “Poesia dialettale dal Rinascimento ad oggi” (1991) e “Il pensiero dominante” (2001), entrambe edite da Garzanti.

Recensione
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