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“I tempi teatrali” d’un personaggio possono servire “per riconoscere l’essere in un attimo |
in forme, in immagini-tempo, in un presente attento, da mimare” (Atto di tempo). E in effetti è il tempo il vero
protagonista di questo poema, al di là dell’evidente dualismo che vede di volta in volta contrapporsi – o, viceversa, coincidere
– le ragioni del personaggio in posa (un attore-fantasista) rispetto a quelle dell’autore del libro, che riesce bene a camuffarsi
tra le pagine del testo.
“Due rapsodie” si divide in due parti: la prima, intitolata “L’inverno del fantasista”, si caratterizza
per le descrizioni specie serali e notturne, di “storie senza storia” vissute da compagnie di attori del teatro di strada,
soprattutto comparse, guitti e funamboli (evidentemente disoccupati), “piccoli uomini che delirano” per uno “strano desiderio
di nulla” (L’equilibrio aeronautico). Essi coltivano i loro sogni nella penombra di piazze malinconicamente deserte di
“città sgretolate dal tempo”, ove la fanno da padroni bislacche presenze che si muovono sullo sfondo come spettri, anch’esse
involontari coprotagonisti dello spettacolo: infermieri, cani randagi, yomini-sandwich, teppisti, prostitute. La seconda parte, “Tutta
un’estate per scrivere”, mostra, al contrario, immagini che si collocano per lo più “lungo la linea d’ombra
al confine d’un paese di sole”. Marco Ortenzi (sarà lui il personaggio della storia?) ora presenta al lettore “palme
fiorite sul mare, mattinate sulla vetta della collina, giardini già conosciuti con il pensiero, zone di luce massima del mezzogiorno in
città, albe d’aprile e malattie d’estate”. L’attività di fantasista-paroliere, per la quale l’attore è ingaggiato
nella stagione estiva, lo spinge paradossalmente a trattare, nei versi della seconda sezione, temi e argomenti apparentemente di minore attinenza
col lavoro teatrale; in realtà vengono finalmente alla luce tutti i dubbi e le incertezze legate ad un tipo di professionalità
discontinua e saltuaria, oltre che carica di incomprensioni e amarezze: “ L’estate è una rapsodia | quest’estate siamo
piccoli attori | e cantanti confidenziali | rappresentiamo noi stessi | siamo tempi | forse è finita la rappresentazione | ma non l’essere
rappresentativi”.
La seduzione e il fascino di questi “giochi d’estate”, per quanto “improbabili”, non impediscono che anche la seconda
sezione, al pari della prima, sia percorsa da un sentimento di profonda e complessa felicità/malinconia: sono gli umori propri del clown,
“il mio tu impersonale”.
Quest’opera di Marco Ortenzi colpisce per gli innegabili elementi di novità e originalità che possiede.
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Recensione |
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