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Questa raccolta, che rientra nell’itinerario poetico di Ninnj Di Stefano Busà, opera vincitrice del Premio nazionale di poesia “Libero de Libero”, ne segnala un particolare momento di maturità e ci conduce in un viaggio privilegiato, dall’“Azzurra Avventura” del principio, attraverso l’onda lunga dei sentimenti, in una navigazione che fa parte dei moti interiori dell’animo, che costeggia sponde virtuose di amena bellezza, mentre “Salpano dalle rive, quietamente, le barche,…” e “I pilastri d’attracco hanno respiro | di ruggine, riflettono dal fondo | fioche luci…”.

Sicché il modo d’essere di questa scrittura che sfiora, spesso, all’avvio, gli elementi del sogno e dell’evanescenza, incide il suo segno originale nel realismo struggente della perifrasi, della simbologia che l’autrice recupera nel quadro del paesaggio psicologico, in cui conquista il senso della compiutezza estatica, quasi a volo radente.

I luoghi della memoria riposano nei paesaggi dell’incanto e della malinconia. Le stagioni e le passioni rivivono, trascolorando, ammortizzato il dolore, sulla soglia segreta dove la morte e la vita, le rotte e le spiagge si confondono, liberano in luci dorate, sfumate i flutti e le trafitture, per cui “rinsanguina e trafigge l’offerta di memoria…” (p. 16). E, “Come anima bianca di colomba | una furtiva chiarezza riposa” (p. 29).

L’autrice conquista sicuramente una linea di approdo in questo discorso che intende proiettare oltre le stesse frontiere che l’inseriscono nella temperie della “poesia pura”, come annota acutamente in prefazione Giorgio Bárberi Squarotti, la ricchezza e la varietà della vita. La classicità del dettato si evidenzia nella metrica personale, nella musicalità della strofa e del fraseggio. La sensibilità e la sensualità di fondo si dilatano in un disegno spirituale in cui l’armonia espressiva carica la parola di visibile emozione.

Profili di memorie (p. 33), raffinatezza di percezioni, sensazioni che colgono se stessi nei brividi dell’ora, del corpo, del ricordare, nei simboli della “fiamma” e della “bellezza” quasi nel segno di quel rigore romantico in veste classica che attiene alla grande poesia anche del nostro tempo, sono tuttavia tracciati nella consapevolezza che “Siamo gravame di terra chiuso | ad ogni privilegio, all’acque, alle sementi…”.

L’obbedienza alla morte è parte dell’intima persuasione della poetessa, nella forza di un disincaglio/disincanto che appare scandita nell’iconografia misteriosa dell’esistenza: “Siamo nel moto oscuro delle cose | come martello al maglio” (p. 46). Nell’illustrazione di copertina, dovuta a Grazia Lodeserto, la metafora del binomio donna-Poesia si coniuga a due falci di luna crescente/calante. Ma queste pagine dimostrano una loro originale valenza che supera il fronte della pur ricca e notevole femminilità, per abbracciare un denso vissuto in cui la tempesta e il sereno tendono ad una visione universale: “Fu risonanza. Ora è silenzio…” (p. 31).

 
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