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La poesia di Lucia Gaddo si può definire ricorrendo alla metafora di una buona cuoca che impasta gli ingredienti genuini e consolidati dalla tradizione con la farina per fare un dolce : soffice, gustoso, odoroso, leggero eppur tuttavia sostanzioso. Un dolce che non “aggozza”, ma scivola nella gola senza bisogno di aggiungervi dietro dell’acqua “per buttarlo giù” e nutre senza appesantire.

Luciano Nanni, nella prefazione, ha messo in evidenza, con la competenza che gli è propria, gli elementi più propriamente tecnici della poesia di questa autrice padovana, evidenziando le varie figure retoriche alle quali ella fa ricorso (gli ingredienti appunto) per conferire al suo verso originalità, grazia e levità, senza con questo scadere in un formalismo fine a sé stesso. Eviterò quindi di ripetere un discorso che sotto quell’aspetto è stato ampiamente esaustivo.

Mi limiterò pertanto ad osservare che la poesia della Gaddo, se da una parte affascina per quella capacità tutta artigianale di rinverdire vocaboli per altri versi ormai superati, conferendo loro nuova vita e vigore, perché amalgamati in un contesto sapientemente predisposto, dall’altra si impone anche per una personale riflessione e costante osservazione della vita e della natura, dove riesce a stemperare in una visione naturaliter religiosa i momenti di pessimismo, facendo ricorso ad un pensiero forte che la sostiene e la guida lungo il travagliato percorso esistenziale. A quel pensiero essa si attacca, lo coltiva, ne sugge le linfe più pure, per restituircelo poi, nuovamente modellato in un linguaggio tutto personale, come viatico o portolano per affrontare le inevitabili sfide della vita.

Poesia intimista, certo, questa della Gaddo, ma non chiusa in sé stessa, aperta invece su orizzonti vasti, dove la levigatezza della parola si incontra col panico sentire di chi si affida alla vastità del creato per trarne indizi di viaggio. “Recita prove di partenza | per quella parte da protagonista | che attende dal gran suggeritore | l’ultima battuta, | quella che mai sfigura, irresoluta, | ma alza il vento della terra | e accoglie l’alito di tutti”. Del resto, la morte, non è mai vista in queste poesie come una nemica, semmai come una compagna di viaggio alla quale eventualmente affidarsi per un eterno presente. “Non un altro cielo | ma questo stesso | copriva i giorni vostri, | amati, | che sedete limpidi | nei troni dell’ineffabile presente | che vi toglie al nostro sguardo | breve, di laguna”.

La passione che scaturisce da questi versi riscatta anche momenti di debolezza, nei quali solo la capacità tecnica riesce a salvarla per un pelo dal mero esercizio. Ciò a dimostrazione di una personalità poetica complessa ma indubbiamente originale.

Recensione
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