| |
Firme tra le più significative si sono occupate dell’opera di Ninnj Di
Stefano Busà; e in vero, la sua produzione poetica si segnala nell’ambito
dell’espressione più genuina ed eloquente dei nostri anni. Viene pertanto a
ragione il saggio di Rosa Berti Sabbieti (essa stessa pregevole poetessa e fine
scrittrice) dall’indovinato titolo “L’ala del condor”. Perché non
esiste solo (per fortuna) il mondo chiuso dei celebrati. C’è tutto un
patrimonio che circola, spesso in semiclandestinità, al quale la cultura vera
è da sempre debitrice, e al quale tutti dobbiamo qualcosa. È bene non
sottacerlo.
Nel caso specifico, poi, non si tratta certo di accento secondario.
Il linguaggio poetico della Di Stefano Busà, infatti, si connota per un respiro
ampio e oseremmo dire “universale” dei suoi versi, per una elevata
polisemia, per la continua in-venzione, per la sua estetica felice, per il
filosofico stupore dei simboli: per quell’originalità, in estrema sintesi,
che fa della parola un dono di poesia quale costante ri-creazione.
Rinvenirne
l’ordine, allora, stenderne le coordinate, evidenziarne l’autonomia e il
carattere, così come ha fatto la Berti Sabbieti, diventa ufficio di non poco
conto e di ragguardevole impegno. E la saggista ha senza dubbio raggiunto lo
scopo se riesce – com’è riuscita – a mettere a dimora il filo della
critica, a catalogare le virtualità, a farci verificare la misura: a darci,
insomma, un’autentica economia di lettura, anche attraverso l’illuminazione
dei luoghi.
Certamente “viaggio itinerante”: ma solo rispetto alla mole del
quanto ci sarebbe da evidenziare nel complessivo panorama della Di Stefano. Un
“viaggio” però che rende, almeno in parte, giustizia ad una voce alta di
questo tempo, e che come poche altre è destinata a non cadere nell’oblio che
solitamente tocca a chi fa esercizio d’alta voce. Un “itinerario” che
meritava la cura d’essere delineato.
| |
|
Recensione |
|