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Onano
Rossano (Cavriago 1944-Reggio Emilia 18/04/2019),
medico specialista psichiatra, poeta e saggista, ha vissuto a Reggio Emilia. L'accostamento
dell'a. alla poesia interviene come fosse l'approdo non casuale dei
suo viaggio di ricerca intorno alla psiche dell'uomo. Si manifesta come
viaggio à rebours, cioè un percorso che partendo dalla ricognizione intorno
alla psiche umana punta a risalire ad una agnizione del linguaggio poetico.
In questo modo realizza l'esatto sovvertimento della teoria classica, che, appunto,
parte dalla definizione di linguaggio per arrivare alla rappresentazione della
psiche. Da questo rovesciamento nasce quel gusto del contrario, della
negazione, dell'antifrasi che tanta parte ha nella costruzione della
sua ironia. L'ironia è il vero viaggio al termine della
sua notte: l'ironia è
la distruzione garbata e la messa in stato di accusa di ogni facile conquista
della conoscenza. Solo la poesia – ossia l'unica voce di giullare tollerata al
convivio dei sapienti – può edificare questa forma di sopra-sapienzaorfica
che è l'ironia, nella speranza che Dio ami ridere. L'esordio in poesia risale a Gli umani accampamenti
(1985) a cui sono seguiti:
L 'incombenza
individuale (1987),
Dolci velenosissime spezie
(1989), Inventario del
motociclista in partenza per la Parigi-Dakar (1990),
Rosmunda, Elmichi, altri
personaggi di Evo Medio (1991),
Viaggio a Terranova con neri cani d'acqua
(1992),
Le ancóra chiuse figlie marinaie
(1994),
La trasmigrazione atlantica
degli schiavi (1995),
Il senso romanico della misura
(1996), Il pesce di Ishikawa
(1998, saggistica) Homo
non dice (1998), La maternale terra di
ponente (1999), Preghiera a Manitou
di Cane Pazzo (2001),
Appunti ragionati di prossemica
(2002),
Artificialia (2005), L'ultimo respiro di
Cesare (2006, saggistica), Il nano di Velàzquez (2007),
Ammuina (2009),
Diafonie poetiche a contrasto (2010, in
coll. con Veniero Scarselli), La bellezza di Amanda
(2011, in coll. con Pietro Paganelli), Mascara
(2011); Scaramazzo (2011),
Alleluia, in sala d'armi. Parata e risposta (coautore Domenico Defelice, 2014),
Il sandalo di Nefertari (2016),
Medioevo (2016),
Testimonio eternamente errante.
La simbologia biblica nel primo e nell'ultimo Veniero Scarselli (2017),
Il
cantare delle mie Castella (2017). E'
inserito nell'almanacco "Paredro XX secolo"
(2006, intitolato Un secolo in un
anno). Ha ottenuto numerosi riscontri premiali per la sua attività con
numerosi
primi premi: Ha
partecipato a convegni di poesia. Mantiene un'ampia collaborazione e un'attiva
presenza con le riviste di poesia, tra le quali "Vernice". Sulla sua
produzione letteraria hanno scritto, tra gli altri:
D. Cara
[Dolci velenosissime spezie]
«O.
inventa sempre qualche immagine per la dissoluzione intellettuale, versa su di
essa impraticabili eventi, casi critici, idilli sediziosi; traccia cerchi
discorsivi in monologhi esotici, citazioni sciolte, il commento che ricomincia
le sue provocazioni, e ai bordi del movimento e della trasgressione più
cospicuo malumore che innovazione fluente e complessa. Tutto questo conferisce
una diversità nel panorama di spugne della poesia dei nostri anni, in cui i
moduli ritmici servono per riavviare il valore del verso e non per farlo
sfuggire dal canone velleitario o dall'inevitabile cozzo. .» [Rosmunda,
Elmichi, altri personaggi di Evo Medio]
«Così questa
scrittura racconta le suasivi possibilità che essa ha di diventare ellittica,
di evitare le eclissi del conformismo, di ridiscutere la resistenza dell'aria
che cita l'antico in figure pretestuali: Rosmunda, Elmichi, altri personaggi
di Evo Medio, così come allude il titolo della silloge, attraverso i vettori
scomposti e l'iconografia afasica che essi lasciano dietro di sé, e quindi lo
specchio di un tempo diverso, le bruciature, i simboli medesimi del filo, dove
O. traccia una sostanziale cartografia dell"'altrove"
(per speculum et in aenigmate), con una sua eccellenza pretestuale, i respiri
non asmatici del proprio atto esecutivo, i movimenti di voluttà dislocati su
schemi onnivori e costruiti in un fervore tutt'altro che apollineo, senza centri
fissi di chiaroscuro e senza speciose malinconie...» -
S. Endrighi
- E.
Salvaneschi [Appunti ragionati di
prossemica] «Terapia e disagio: tale può essere il binomio antitetico
attraverso cui esprimere – e quindi in qualche modo esorcizzare – la
perplessità, quasi il malessere, distillati dalla lettura di questo libro:
composito, ostico, dotto, indifeso.» -
U. Giacomucci
[Il senso romanico della misura]
«Devo
confessare che la poesia di O. mi ha sempre convinto, sia nelle
numerose raccolte pubblicate finora in volume, che nei testi che
occasionalmente mi è capitato di leggere prima della pubblicazione in volume,
ancora inediti o in riviste. Ma ciò che più mi colpisce ogni volta, nelle
poesie di questo Autore, è la perfetta padronanza di quello che per me non è
semplicemente uno "strumento" espressivo: il linguaggio. Secondo molte teorie
psicoanalitiche o filosofiche, infatti, il linguaggio non è semplicemente uno
strumento di espressione, ma è anche un costituente essenziale del nostro
essere: l'inconscio stesso è strutturato come un linguaggio (Jacques
Lacan) oppure, addirittura, il linguaggio è "la casa
dell'Essere" (Martin Heidegger). Da qui può partire un
discorso davvero molto complesso, che ci porterebbe troppo lontano, basti
accennare che, secondo alcune di queste teorie, la poesia è "l'essenza del
linguaggio" (sempre Martin Heidegger). Accade quindi
che non è l'uomo a esprimere il linguaggio, ma piuttosto è il linguaggio che
"ci parla" (sempre Jacques Lacan). Eppure O.
sembra smentire alcune di queste teorie, grazie alla sua padronanza del
linguaggio, che sembra piegato a esigenze espressive complesse, frutto di una
decisione razionale e di un atto d'imperio dell'Io: parte non secondaria della
sua poetica è infatti una costruzione linguistica, spesso di tipo
affabulatorio, che si esprime con un ritmo basato sul respiro o su molti
accenti, con un verso lungo, e un tono spesso discorsivo. Il fascino di questa
poesia è invece proprio nelle immagini surreali, stranianti, che fanno
riflettere il lettore e lo conducono sull'orizzonte del senso, o meglio sul
discrimine che, partendo dai possibili significati, rende al testo il senso
(il segno) del discorso. Grazie alla felice combinazione di senso e ritmo in
questo libro, che ha il titolo emblematico di "Il senso romanico della
misura", la poesia di O. ci si presenta con una sorta di forza
evocatoria magicoalchemica, in cui tuttavia anche l'ironia ha una sua parte.
E qui forse si schiude il senso (e il fulcro del modus stilistico) di questa
poesia: il tentativo di dominare il linguaggio è comunque un tentativo
riuscito, ma solo per un attimo, e tutta la costruzione è in funzione di una
manque, che l'Autore in realtà ben conosce e mostra al lettore.
n effetti in queste poesie/poema si compie un percorso
complesso, una sorta di storia onirica dell'umanità o di epica rovesciata, allo
specchio, il tutto espresso con uno stile originale, a tratti quasi
"eccentrico", nel senso che si adatta all'oggetto del discorso, e diventa di
volta in volta eccessivamente parentetico, o marcatamente allusivo, o
chiaramente "agito" dal lapsus o dal solecismo. In questo modo figure mitiche o
archetipiche per l'umanità diventano personaggi di un dramma che è in gran parte
anche la ricerca del senso dell'esistenza o del suo interrogarsi nell'uomo
d'oggi.» - E. Grasso
[Le ancóra chiuse figlie
marinaie] «L'inseguimento
della speranza, il suo divergere dall'ansia, per O., si
scioglie nel bianco lunare di una luna che nessun cittadino vede più, si
disperde dopo aver percorso piste che conducono a ghiacciai scomparsi. I
commiati hanno esili ma continui rapporti con la scrittura e con lo spazio
risolutivo della promessa che essa ci porta. D'altronde si conoscono poche
altre circostanze che permettono un'ulteriore possibilità di salvezza. Il
racconto sporge nei momenti di sosta, quando il fuoco è acceso e su di esso si
scalda l'acqua per il tè. Diverse approssimazioni alla calma che soltanto così
sopraggiunge, diverse pagine, spesso gradevolmente leggibili, disposte secondo
la trama dell'accampamento. Le poesie di Le ancóra chiuse figlie marinaie
assecondano il pensiero che nasce dalla stanchezza, fino alla sua naturale
conclusione: quando all'alba ci si risveglia e si ritrova tutto come prima,
tutto avvolto da una luce che si ripete, che ci riconosce. L'uguale luce di un
giorno differente. La fermezza gentile di una poesia che non teme il racconto,
che depone le armi per andare a caccia.» -
S. Gros-Pietro
[Scaramazzo]
«Il diletto è garantito, perché l'opera di O. è di natura comica e non invece
di natura tragica. Il lettore è condotto sempre a sorridere e a ridere di sé
stesso e delle enormità paradossali che sono sciorinate con inarrivabile bravura
in ogni pagina del testo. La deformazione del reale è usata come garanzia di
non-immedesimazione del lettore nelle vicende poetiche, sempre iniziate e mai
concluse da O. Perché? Perché non si conclude mai? Risposta: perché la storia è
infinita, ed è sempre diversa, ma è anche sempre uguale. Finisce
all'improvviso, proprio così, con due punti esplicativi aperti sul nulla: »
-
[Ammunia] «La cultura che fa da background al
linguaggio poetico di O. è una definizione selezionata e orientata di quel
grande meticciato moderno frequentato dagli intellettuali occidentali, fatto di
barbagli di attualità televisiva in cui galleggiano contanti, calciatori,
ciclisti, quizzisti, cui si aggiungono le fonti popolari e folcloristiche, cui
si aggiungono i fondamenti basilari dell'invenzione del linguaggio poetico, che
ovviamente risalgono alle due grandi querce del sistema culturale d'Occidente,
la Bibbia e Omero, arricchite e allargate dalle grandi fonti classiche
successive, cui si aggiungono i fascini e le propensioni per il mondo asiatico,
specie per l'India magica, dolcissima e crudele.»; [Il pesce di Ishikawa] «Come
l'autore istruisce nella sua acclarante nota introduttiva, il titolo del libro
demanda ad uno schema logico espositivo ed esplicativo, che ha valenza
didattica e sinottica, per cui individuato il problema che si vuole trattare,
lo si colloca ideologicamente nella testa del pesce che andremo
metaforicamente a catturare, dibattendo e sviscerando tutto il problema. E il
problema, che è rappresentato dal corpo nevralgico del pesce, ha per corpo le
lische, ciascuna delle quali rappresenta una specifica tematica di dibattito.
Alla fine, si avrà un ordinato sviluppo sequenziale degli argomenti da
esaminare, con una rappresentazione armonica e ordinatrice della realtà.
Schemi logici di contenuto scientifico, tecnico, pedagogico o problemi di
logistica e di strategia delle priorità militari trovano brillante esposizione
formale nel pesce di Ishikawa, che ora, grazie a O., si
mette anche a colonizzare le più caotiche acque dei problemi umanistici,
letterari e filosofici. Forse, più che un'ordinata sequenzialità a lisca di
pesce, a questo punto sarebbe più adatta una rappresentazione a polpo
Centimane, con grappoli e con gruppi sparsi di tentacoli anche casuali o
frattalici, emergenti or qui or là, nell'inopinato sviluppo creativo della
mente umana. Ma non è così, perché non va sottaciuto che uno dei pregi più
luminosi e più godibili dell'intelligenza letteraria di O.
risiede proprio nell'ironia: nella suprema dote di parafrasare, trasferire,
traslare, alludere, arrovesciare, estrapolare ed estroflettere come un guanto
la realtà, che ci apparirà tutt'altra cosa da quella che è, pur rimanendo
incontestabilmente identica a se stessa » [Preghiera
a Manitou di Cane Pazzo] «L'autore
ricorre allo stratagemma dell'intreccio caotico delle parole e dei significati
per riuscire ad indurre con efficacia nel lettore una sensazione predominante
d'indefinitezza del discorso, pur in presenza di uno scrupoloso puntiglio
narrativo, esercitato fino nei particolari. Si conferma un punto già sostenuto
più volte: la poesia di O. non aspira a rappresentare
l'infinito divino, ma è invece rivolta a descrivere l'indefinito umano. Il
discorso indefinito permette di cambiare continuamente l'orientamento, come
succede a Cavallo Pazzo che monta la cavalcatura al contrario e che vede ciò
che gli sta davanti sopraggiungergli dalle spalle. Dalla possibilità di
rovesciare il discorso, si è già detto che nasce l'ironia di O.,
che è un'ironia particolare nel senso che è anch'essa capovolta e rovesciata.
Se nell'etimologia della parola è ironico colui che interroga fingendo di non
sapere, l'ironia rovesciata di O. è quella di colui che
risponde fingendo di sapere; di colui che ci racconta una storia qualsiasi
fingendo di saperla, ma subito quella storia si rivela non raccontabile,
perché ogni storia è inevitabilmente "tutte le storie" che sono state
inghiottite nella pancia del mare, cioè tutte le storie del pianeta nel
passato e nel futuro, in tutti i luoghi della terra, cioè la più totale storia
indeterminata.» [L 'ultimo respiro di Cesare]
«Spirando, Giulio Cesare emise un refolo d'aria
polmonare che, calcoli stechiometrici alla mano, essendosi nei due millenni
equamente diffuso per tutto 1'aere dell'azzurro pianeta, oggi ritroviamo nella
proporzione di una molecola per boccata inalata in qualsiasi ambiente
terrestre: fossimo nella depressione caspia o sulla vetta tibetana, la
molecola del divino Cesare sempre una è, ad ogni nostro respiro. Va reso atto
ad O. che poche trovate sono nel contempo così
scientifiche e così irrazionali, così incontestabili e così scombiccherate, in
una parola ci troviamo di fronte ad una iperironia, che anziché mettere in
imbarazzo il saggio ed il filosofo, finisce per divenire un utile strumento di
lavoro, come lo furono i paradossi per i sofisti. II respiro di
cesare — questa volta lo scriveremo con la minuscola,
come fosse l'indicazione di una panacea o di un decotto, lasciando
definitivamente in pace, al loro destino di corruzione e di risorgenza, le
molecole gassose dell'imperatore — è metafora di verità nacosta, di storia
sotterranea, di scaturigine primordiale, di fiato diffuso o di pneuma, soffio
dell'anima che tutti unisce ed accomuna in un solo cosmico palpito vitale. C'è
sempre una soglia mitologica nel ragionamento di O.,
che è sensibile alle figure simbolo, agli arché, all'organizzazione
dell'esperienza per grandi categorie d'orientamento. L'incontro con gli autori e
con le loro opere viene presentato seguendo il meccanismo della diagnosi, cioè
del riconoscimento dell'individuo singolo all'interno di un comportamento
antropologico bene descritto, grazie all'individuazione di alcuni segni ritenuti
caratteristici del modello comportamentale assunto.» -
M.G.
Lenisa [Inventario del motociclista in
partenza per la Parigi-Dakar] «Che
il testo, variato da chi lo legge o variamente interpretato, porti (come si
auspica Bárberi Squarotti)
verità della letteratura e della vita, importa di più. Scrivere è desiderio ed
è il seme della vita che fa fiorire altrove, infinite, possibili vite che il
linguaggio dell'Altro rischiosamente anima. La poesia allora con gioia,
disperatamente, resta la vita nei secoli (Pasolini). Solo allora la parola non
è involucro, ma brace. Solo allora l'eco è più sconvolgente della voce che
chiama, qui, ora, il suo invadere altri spazi, provocando in chi ode timore,
in chi chiama sorpresa, perché la voce continuerà nel silenzio della bocca che
l'ha pronunciata.» [Viaggio a Terranova con neri
cani d'acqua] «Il viaggio,
a differenza dell'Odissea, non prevede un ritorno; Itaca, meta definita, è
scomparsa, a meno che non diventi simbolo della più acuta conoscenza che solo la
morte può indurre, se tutto non finisce li. Anche l'isola dell'amore,
nell'ultima sezione inedita, dell'antologia, sembra abbandonata; il tema è il
viaggio, divenuto fine a se stesso, con qualche vaga nostalgia di quegli umani
accampamenti, dove un residuo fuoco poteva scaldare e la parola colpire
precisamente il suo oggetto. Il rapporto di esso col segno linguistico è scosso,
ma non destituito, semmai il segno è fortemente caricato di suggestioni, al
punto da riformare, deformandolo, l'oggetto. Il segno è pure delegato a produrre
altri oggetti dalla sua indicazione, fuori dal rischio di una proliferazione
vuota e abnorme, per altro paventata al punto di suggerire all'Autore una sosta
come a chiusura di un ciclo poetico. Ma "non c'è motivo che il linguaggio debba
corrispondere o assomigliare al mondo più che non vi sia
motivo che debba assomigliare al mondo il telescopio con cui lo scienziato lo
studia" (Max Bolack). Il linguaggio
ultrametafisicamente acquista un significato apofantico, in questo senso è la
casa dell'essere. O. non ha funzionalismi linguistici
da esibire, ma opera una seria modificazione del linguaggio a partire
dall'esperimento zanzottiano di vasti possibilismi linguistici, ma anche di
incombenti terrori e seduzioni.» -
R.S.
Motti [L 'incombenza individuale]
«In questa raccolta il fare poesia si traduce in scelte
linguistiche e poetiche che creano, attraverso una tessitura paziente e
sfrontata sottile ingenuità la dimensione ampia della coscienza; l'ironia, la
letteratura, la scienza si coinvolgono reciprocamente tanto contro ogni
metafisica certezza quanto contro l'irriducibile ovvietà del dolore. Nel suo
scaturire apparentemente facile, piegandosi ai modi del parlato e ai
sincretismi del presente, ambisce a costituirsi con necessaria misurata
compiutezza come "poetica delle macerie nata nel cuore di un umanesimo
disilluso".» - C. Rao
[La maternale terra di ponente]
«Transito, dipartita, viaggio verso un aldilà che
sconfina con l'aldiquà, col viaggio attorno a se stessi, La maternale terra di
ponente chiama alla complicità, all'entrar forte nelle foreste-simboli, dove
si sprofonda tra mito e favoloso stordimento, tanto in fondo che, riemergendo
per un attimo agli antipodi, si rifiltra da uno degli irrinunciabili omphalós
della storia: il Calvario. Ma viaggio anche all'interno del
simbolico-letterario dove il marinaio è spesso un Ulisse
viaggiatore-trasmigratore costretto da una misteriosa necessità ad avanzare
per terre e lande desolate, per paesaggi lunari, dentro un continente vicino
alle morfologie africane. Lo accompagnano un mare-striatura amniotico-materna,
presenze-fantasmi, orizzonti tesi, creature a volte dense di vitalità felice
che sembrano un poco spiarci come certe giovinezze feline dai quadri di
Rousseau il doganiere. Costretto, per scelta volontaria, a misurarsi sulla
distanza delle poco usuali quindici sillabe, O. fa
implodere dentro le sue cintura sorvegliati meccanismi che cercano l'equilibrio
tra sessualità pronunciate (tra le tante gli smilzi indigeni e la luna in
tutte le sue versioni) e trattenuta aggressività. Se nella prima parte
Onano-Ulisse compie felicemente il viaggio da sé (attraverso gli inferi del
suo stesso inconscio) a se stesso (dall'albero nano all'alber onano), nella
seconda si rimette in viaggio, come vuole Dante. Marinaio, si sottopone alla
divinità mistero-luna che lo sorveglia e conduce con le sue
apparizioni-percussioni, bambina-donna (menarca)-donna-amante-sorella-madre.
In fondo a questo regresso-progresso-morte (piccola morte?) si frantuma e
ricompone il senso della poesia: ricerca degli inferi-sublimità del sé,
tentativo di vestire con penne di pavone l'orrifico caleidoscopio
dell'inconscio. Ma anche desiderio di ricucire alcuni tessuti
culturali-materiali dell'Occidente. Per possedersi ripossedendoli.» -
A. Ventura
[Il nano di Velazquez] «...è un libro intelligente,
spregiudicato, ironico, talvolta anche sarcastico, sottende tuttavia una carica
di tenerezza, di comprensione, di compassione. Un registro lessicale originale,
sapiente, inconfondibile, segue una fantasia lussureggiante, una rara capacità
di inventare, creare, stravolgere, senza mai perdere il filo del discorso di
fondo, che ha una matrice etica ed estetica; a modo suo, anche religiosa.»;
[Artificialia] «La
poesia di O. è una materia densa e viva, un magma da
cui emergono, a tratti, bagliori e sussulti, boati, esplosioni. Nel magma c'è
la realtà presente, con le sue tecniche precise e inesorabili, le algide
scoperte della scienza, sorde a ogni pietà e, parallela, c'è la forza
primordiale della natura, incontrollabile, violenta, che sbigottisce il "cuore
pusillo" degli uomini, crea disastri e bellezza, governa la terra da
indiscussa padrona. Lo scandaglio tenace del pensiero del poeta affonda nella
vasta materia, con consapevolezza dolorosa, ma anche con sottesa ammirazione,
sostenuta da una fantasia lussureggiante, da un lessico espertissimo e
innovatore, da un'ironia sottile, quasi dissimulata.».
Ago 2017 | |
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