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Prefazione a
Gatti Ritratti
Anna Maria Zanetti
"...non esistono gatti comuni..."
"...non
esistono gatti comuni...": è una frase di
Colette, scrittrice francese che ha dato vita ad alcune delle pagine più belle
sui piccoli felini, descrivendo in modo mirabile gesti e psicologia di gatti che
l'hanno accompagnata per tutto l'arco della sua vita (come dimenticare la
Fanchette di Claudine?).
"le foto di Luccia lo confermano": è
una frase mia. Amo di amore senza fine i gatti e vedo qui proposti ritratti di
anime feline, realizzati con maestria fotografica e poetica, pubblicati per
donarli. II titolo della pubblicazione è ripreso da una rubrica omonima che
Luccia ha tenuto per un paio d'anni su 'ABC Veneto' un mensile telematico.
Nessun gatto è comune.
Ogni gatto
è
"speciale", un individuo a sé stante.
Le immagini che seguono colgono proprio fisionomie uniche, porgendo al nostro
sguardo personalità, sensibilità, dignità di esseri viventi che l'obiettivo,
amico e amoroso, di Luccia indaga con delicatezza, interroga senza disturbare,
anche perché il gatto non si fa mai cogliere del tutto e, questa,
è
una delle chiavi eterne del suo
mistero e del suo fascino.
Come lavora Luccia?
È
bello vederla fotografare. Ho questo piacere da diversi anni e sono stata spesso
testimone del momento preciso in cui ha scattato immagini rivelatesi
straordinarie alla stampa. Ogni volta mi
sorprendo del suo colpo d'occhio, della repentinità con cui cattura una scena in
movimento, o l'espressione di un volto, o il taglio particolare di un monumento.
La sua presa di visione dell"oggetto' da riprodurre
è
già dentro di lei e con la macchina fotografica lo ferma per sempre. La
sua ricerca è 'proustiana': lega il tempo che passa, la memoria, gli sguardi che
si incrociano; inestricabile intreccio personale di esperienza umana
irripetibile e di tensione poetica, resa al più alto grado con le immagini e con la parola. Infatti
– chi
la conosce Io sa – in Luccia non c'è separazione tra vita ed arte. La sua vita
alimenta – come probabilmente in tutti i grandi artisti al contrario di ciò che
si crede – la sua arte, le immagini provengono dall'oggi ma anche e sempre dal
regno dell'infanzia e della fantasia, condensati in uno stile che ha la sua
cifra personale nel sollecitare diversi piani interpretativi e di lettura
dell'oggetto, mai rappresentato solo esteticamente o fine a se stesso. La sua
fotografia, lo si è visto in tutta la sua produzione, è 'vissuto' rimesso in
gioco, sperimentazione di forme, rigore e originalità d'approccio. Anche in
questo caso.
Alle prese con i ritratti di gatti,
Luccia Danesin ci offre qualcosa di prezioso e di inedito, una galleria unica di
piccoli grandi felini, un'indagine per immagini, finemente psicologica, che
rivela il gatto che è in noi e l'umano che è in loro, l'essere loro per noi
"compagni psichici" (come acutamente ha osservato W. Burroughs), tuttavia sempre
inafferrabili come è inafferrabile tanta parte di noi per noi stessi.
Si sono gentilmente 'prestati' a fare
da modelli i suoi gatti e i miei, i gatti di amiche e amici, di conoscenti, i
gatti di strada. Per la maggior parte gatti di casa, ma anche vagabondi solitari
di campagna, meticci, o 'bastardini' come si diceva una volta.
L'unico esemplare di razza qui
rappresentato è Greta, la bella siamese nostra compagna per diciannove anni, che
ha rappresentato la prima fonte di ispirazione per Luccia. Se vogliamo stare
scherzosamente a quanto scrive Doren Tovey nei suoi travolgenti racconti di
gattipazzi, il gatto siamese non è neanche un gatto poiché racconta che, secondo
i veterinari, esisterebbero "i cani, i gatti, e... i siamesi". Oltre a Greta
"siamese imperiale", i protagonisti delle foto sono Berni, Artù, Briski,
Pandora, Filippa, Bombata, Pippo ed Emily, Parigina e altri senza nome.
Credo che il gatto, forse più dì altri
animali, racchiuda il senso delle cose, la complessità indicibile della vita.
Nessun altro (essere) vivente, compreso l'essere umano, mi sembra capace come il
gatto di restituire allo sguardo, alla mente, al cuore e al corpo, così tanti
rimandi, seduzioni, emozioni. Della
loro bellezza non cì si stanca. E quando, rapiti, si guardano i loro
giochi/agguati viene alla mente ciò che disse Albert Schweitzer (medico tedesco,
missionario in Africa dove combattè la lebbra) grande organista e che amava i
gatti: "la prova che Dio esiste si ha sentendo la musica di Bach e osservando il
gioco dei gatti".
Se l'artista ha la capacità di
svelarci ciò che ci sta davanti e che noi guardiamo ma in realtà non 'vediamo',
i gatti che Luccia ci rivela – ora teneri, buffi, ora fieri, o giocosamente
pazzi, ma anche aggressivi, inquieti/inquietanti, enigmatici e severi – si
aggiungono validamente alla letteratura, ormai sterminata, che narra di queste
tigri di casa, 'spiritelli del focolare'.
Nelle immagini si stagliano baffi rigogliosi, nasi umidi e sensibili,
mantelli lucenti di gatti curati o pelliccette polverose di vagabondi di strada,
musi triangolari che diventano immagini irreali, rievocando il sogno che lega
umani e felini, riportando al mistero e al simbolismo magico che circonda queste
piccole fiere, ma anche alla quotidianità di atteggiamenti e di sguardi che ce
li rende compagni di vita, creature speciali, piccole divinità della nostra
casa. Sguardi felini che arrivano fino in fondo all'anima, che ci interrogano
silenziosamente con le loro "mistiche pupille" (Baudelaire).
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