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Adeodato Piazza Nicolai

Giulia Niccolai:
donna, scrittrice, monaca buddista

Chi è Giulia Niccolai?  Seguiamo un poco il suo percorso biografico.  Nata a Milano nel 1934 da madre americana e padre italiano è, nelle parole di Lidia De Federicis, “l’unica donna che la storia letteraria colleghi ufficialmente al Gruppo 63.”  Continua, “è vissuta dappertutto, anche in India e per anni a Mulino in una casa di campagna dell’Appennino parmese.  Fotografa e traduttrice (di Gertrude Stein), scrittrice in prosa e in verso, legata a Spatola da undici anni di ‘convivenza sentimentale’ e assieme a lui nella fondazione della rivista TAM  TAM  e di un’omonima collana di poesia sperimentale; monaca buddista dal 1990” [L’Indice, “Notizie del Gruppo 63”, dicembre 2001].  Delle sue varie pubblicazioni ricordiamo la raccolta di Harry’s Bar e alter poesie (Feltrinelli, 1981) e Frisbees – Poesie da lanciare (Campanotto, 1994).  Chi ha avuto occasione e, direi, la fortuna di leggere i sui meravigliosi “frisbees” lanciati nel mondo, conosce giá la originalità e lo spiccato “sense of humor” della Niccolai.  Sappiamo che il gioco del frisbee coinvolge al minimo due persone (simile a una partita di ping pong), gioco che diventa anche metafora di un dialogo: l’autore lancia un messaggio/sfida che il lettore riceve e, a suo modo, rimanda, in un processo teoricamente senza fine e forse anche illogico, soltanto per puro divertimento.

Il libro che presentiamo oggi, Esoterico biliardo, approfondisce questo tema del gioco.  Milli Graffi, nel saggio “L’analogia come urgenza in Giulia Niccolai”, collega l’originalità della sua scrittura alla sua “Lievità e umorismo…Spesso l’intelligenza di un evento esplode quando Niccolai ci trova il laccio o il lazzo di una risata. Il lavoro arguto aiuta a stabilire una distanza dal materiale scabroso, toglie all’Io una buona dose di presunzione senza destabilizzarlo, compie il processo di ‘liberazione’, mettendo in rilievo i nessi inconfessabili (e, direi, anche di una ilarità illogica)…” (p. 98)  Giá il titolo del libro, Esoterico biliardo, offre una chiave interpretativa.  Marco Belpoliti lo definisce “un’inconsueta autobiografia…che racconta, quasi senza volerlo, l’altra storia della neoavanguardia.”  Sì, ci sono capitoli che ricordano certi personaggi del Gruppo 63, per esempio Adriano Spatola e Giorgio Manganelli  (vedi “Gli anni di Mulino”, “Cavalli veri, cavalli figurati” ec.,). Ci sono racconti autobiografici/metanarrativi, come il capitolo iniziale “Le prove (2 Frisbees, 1989)”, oppure “Il ferro”, “Il bronzo”, “Malakite”, “La scrittura”. Ci sono frammenti di esperienze spirituali, esoteriche.  Ma è tutto un tappeto ricamato col filo della parola: eventi, memorie, incontri, meditazioni si intrecciano, si illuminano a vicenda in un arabesco che spazia realtà e ricreazione mimetica. Scrive Graziella Pulci  (“Alias”, 15,04,2001): “Esoterico e biliardo danno subito la chiave di questi testi, a metà tra il racconto e la testimonianza; perfezione della casualità e tragedia di gesti calcolati con pazienza infinita.  Le traiet-torie che si disegnano sul piano verde in figure sghembe sono folgorazioni istantanee;…Sola gioia è poterle contemplare prima che scompaiano per sempre.”

L’incrocio tra karma e illuminazioni folgoranti lo nota anche Lidia De Federicis (“L’indice”, dicembre 2002): “L’Esoterico biliardo allude a una geometria segreta di epifanie e coincidenze, e al ribaltarsi della casuità in causalità, secondo quel che spiega la Nota dell’autrice.  Chi cerca viaggi nello spazio psichico, li può trovare nel suo libretto.”  Ma è un viaggiare che meticolosamente sprofonda le mani, i piedi, le orecchie, gli occhi, l’anima nella concretezza della vita, dalla quale l’autrice ne trae corrispondenze, epifanie, semafori, punti d’appoggio per mandare avanti il suo viaggio esistenziale.  Nel condividere tutto questo, l’autrice neutralizza l’auto-isolamento dell’Io, trasformandolo in un dialogo incantevole, aperto.  Non vuole far prediche, desidera soltanto dialogare, donare agli altri l’incanto dell’essere nel divenire.  Nelle parole di Beppe Sebaste (“Unità”, 24 ottobre 2001): “Ecco , il libro di Giulia Niccolai esprime questo incanto, che consiste nella trasformazione…di eventi casuali in eventi causali, realizzazione della sincronicità di quelle che chiamiamo coincidenze…” 

Incontriamo qui la scrittrice della neoavanguardia progredita al buddismo tibetano dopo che un ictus, negli anni ’80, l’aveva resa incapace di parlare.  Questa incapacità diventa fonte di epifania per la scrittrice che tanto dipende sulla parola scritta ed enunciata per definire lo spazio sia interiore (l’Io) sia quello esterno, la così detta realtà immanente. La disfunzione afasica, che rendeva impossibile ogni suo colloquio verbale, viene accettata/interpretata dalla Niccolai come chiaro messaggio di dover categoricamente uscire dalla prigione dell’Io che si autodefinisce attraverso la creazione artistica, perché: “Desiderio e attaccamento equivalgono a designare l’Io, l’egoità: calcolo, confronto, aspettativa. E l’invischiarsi della mente nel desiderio è costante autoriferimento, preoccupazione di se” (Esoterico biliardo, p. 95).  Trova la via di uscita praticando la meditazione insegnata dal buddismo tibetano, a cui lei aderisce fin dal 1985. “Il profondo interesse che ebbi, sin dal primo giorno, per gli insegnamenti buddisti, il fascino che esercitano costantemente su di me, sta nel fatto che in essi trovo man mano risposta a tutta una serie di perplessità e di interrogativi ai quali, prima, non ero in grado di dare risposta alcuna.  In ciò che ho appena scritto, ad esempio, è implicita la spiegazione dell’origine di quel voler essere ‘plurale come l’universo’ che rappresenta sia la pulsione iniziale, sia la sofferenza di molti scrittori (tra i quali Manganelli), tesi a una mostruosa vocazione mimetica, a riempire il vuoto del silenzio con le mille voci del loro multiforme Io che aspira alla non-dualità tra sé  e l’altro da sé.  Meditare significa innanzi tutto battere e levare, battere e togliere una quantità enorme di nozioni superflue e distraenti che abbiamo accumulato nella vita per poterne poi intuire l’essenza: inizialmente, quella delimitata del nostro corpo fisico, che potrà poi espandersi all’infinito, tramite la mente, fino a comprendere la nostra interdipendenza nei confronti di ogni fenomeno esistente.” (p. 139-140)

Chiusa in una prigione autistica che le permetteva di scrivere ma non di trasmettere a viva voce quello che scriveva, la Niccolai era riuscita a capire come nel suo cammino spirituale non poteva più attribuire al  “karma negativo tutte le interferenze che erano sopravvenute.” (p. 141)  Svela il mistero della sincronicità che l’aiuta a percepire quell’ictus come una porta che si apre lungo il percorso.  Ci spiega Beppe Sebaste nell’articolo già citato: “Capita a volte, nella vita di ognuno, di scorgere un’intima coerenza, un più o meno invisibile legame che connette ciò che ci appariva disperso e scucito – esperienze contradditorie, sentieri interrotti, un’accozzaglia di episodi piuttosto che le sequenza riconoscibile di un destino. …(A)ccorgersi che tutto ciò che si è fatto, in modi e linguaggi diversi, voleva dire la stessa cosa, per condurci là dove siamo o agoniamo di essere, in un percorso che dissimula la propria linearità in un zigzagare che è tale solo per il nostro sguardo privo di fede.” La fede buddista guida la Niccolai a sentire, capire e trasmettere quell’intima coerenza che compenetra tutto e tutti.  Ogni capitolo di Esoterico biliardo offre esempi originali di questa “nostra interdipendenza nei confronti di ogni fenomeno esistente.”  Contiguità, analogie, coincidenze diacroniche collegano la narrativa attraverso fili sottili, a volte appena visibili, a volte invisibili, ma la loro interdipendenza è palpabile, indiscutibile.  Come è pure indiscutibile l’esperienza di “uno spazio piú ampio e un disegno superiore...capaci di dare un salvifico senso di continuità e di compiutezza alla vita e al mondo.” 

È, come ritiene Beppe Sebaste: “il libro di una conversione, come è sempre il caso di ogni vera confessione: bisogna morire a se stessi per raccontare la propria vita. Occorre varcare un passaggio impossibile, una porta senza porta (quella che i filosofi chiamano aporía) per rinascere a una vita nuova.”  Sono tante le porte che la Niccolai varca per arrivare al confine di un Tutto/Nulla che corrisponde alla visione buddista di Kalu Rinpoche:

Viviamo nell’illusione e nell’apparenza delle cose.
C’è una Realtà. Noi siamo quella Realtà.
Quando la comprendiamo, vediamo che siamo niente.
Ed essendo niente, siamo tutte le cose.
Ecco tutto.  (p. 165)

Giulia Niccolai, donna, scrittrice, monaca buddista, condivide il suo passaggio da porta a porta, da varco a varco, con ogni persona predisposta  a partecipare in questa avventura senza fine.

©Adeodato Piazza Nicolai
 Vigo di Cadore 20.09.2002 -- Padova 23/09/2002
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