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Prefazione a
L'abbraccio dei colori
Stefano Valentini
Attinge direttamente all'anima, questo libro che riordina e seleziona un
intenso percorso poetico, e tuttavia questa immersione nell'individualità
porta alla luce esiti misurati, calibrati, levigati, mille passi lontani
dall'effusione sentimentale immediata. Si gioca, in queste pagine, una grande
partita tra il sentimento e la letteratura, tra
l'emozione e il riserbo, e il risultato lo si legge proprio nella parità
su cui la partita si chiude, nel crinale che separa l'uno dall'altro gli estremi
e li fonde, senza annullarne le caratteristiche migliori, in un tragitto di
sapiente equilibrio.
Proprio a tale equilibrio, del resto, è chiamato il
poeta che non voglia limitarsi ad un (peraltro sempre legittimo) diario
personale bensì offrire la propria, strenuamente
acquisita consapevolezza ad una condivisione. Gabriella Villani, certo, non
avrebbe potuto scrivere queste parole senza averle vissute sulla propria pelle
inizialmente di figlia (nei riguardi del padre) e poi di donna: per questo, come
ben fa Elvio Guagnini, è corretto parlare di poesia
d'amore, non solo – aggiungeremmo –
in quanto intessuta d'amore ma proprio in quanto d'amore nutrita,
giorno a giorno negli anni. In assenza di tale nutrimento l'autrice non avrebbe
potuto scrivere affatto, mentre se ad esso soltanto si fosse appellata avrebbe
scritto, pensiamo, unicamente per se stessa. Se viceversa, come
avviene, questa poesia sa conquistare lo spirito e l'intelligenza del
lettore, lo deve proprio alla misura (a nostro avviso fortemente cercata anche
come etica di vita, un'etica indubbiamente appresa – si
veda la poesia d'apertura – dalla lezione trasmessale dal
padre, 'Mai la voce alta | un tono brusco una parola in
più") con cui la forza tumultuosa dell'esperienza
interiore si distilla in ruscelli di limpida purezza. Bastano così
poche parole, pochissime talora (Notte ne utilizza venti in tutto, ma
esprime un universo), per rendere conto d'interi squarci d'esistenza, per
ricapitolare in un istante itinerari che sfiorano
l'infinito.
Appare forte e fondante, come valenza etica e concettuale, l'intreccio tra il
dato morale e la realtà concreta, un rapporto rivelato già
nell'iniziale omaggio alla figura del padre. Ma si farebbe un sicuro torto a
questa poesia se si volesse ridurla a pochi elementi essenziali, quando invece
il libro si struttura proprio come un mosaico dove ogni pagina e ogni verso
aggiungono un tassello all'insieme. Al confine tra apertura al mondo e ripiego
intimo (Nell'aria), ricca di tenerezza sin dal titolo complessivo e però
anche di forza, insaziabilmente interrogativa, rivolta al futuro pur coltivando
una devota nostalgia per il passato, sognante e nondimeno a proprio agio
nell'evidenza della concretezza, la poesia di Gabriella Villani trova congeniale
un tono sommesso ma nitido, né soverchiante né
intimidito. Usa volentieri l'ironia ma si fa talora anche enigmatica (Tenera
giornata, E poi, Ascolta, Giacinti,
Recinto), drammatica e inquietante (Cormorani, Stornello,
Dialogo), provocatoria negli accostamenti (Voluttà
e Nero, dove le pance del gatto e dell'insetto evocano considerazioni
diametralmente opposte); addirittura geniale in talune ambiguità,
come nell'immagine della malinconia (Compagna di viaggio) che
serra la vita stretta stretta, potendo essere quindi "la
vita" tanto l'esistenza che la zona del corpo, oppure in Sogno ricorrente,
dove quel "colori" del finale può tanto essere un
soggetto a sé quanto il verbo riferito ad un (lì
come altrove) sottinteso e beneamato "tu".
Fortemente tramata di richiami, rimandi, parole-tema e parole-simbolo, fitta
di chiuse imperative e vigorose, la silloge convince anche sul piano della forma
letteraria, essendone bandite le ridondanze e privilegiate, invece, le virtù
della sintesi e dell'asciuttezza. Nonostante il frequente richiamo al "sogno",
evocato come dimensione ideale più che come spazio di
fuga, prevale nettamente un approccio a viso aperto con la propria biografia,
passata e presente non meno che futura: lo stesso dolore, che affiora di tanto
in tanto sulla scena, appare più lontano che attuale, più
ricordo che oppressione, assumendo semmai l'aspetto della nostalgia quale
consapevolezza del tempo trascorso e non più recuperabile
(se non nella memoria e appunto nel sogno), ovvero le sembianze dell'amarezza al
pensiero di vicende che non hanno lasciato, dietro di sé,
nulla di positivo (Per te).
Minimi o assenti gli accenni al mutare della società e
dei tempi, ma non per questo inerte la percezione dell'esistenza altrui e del
suo valore (Gente): anche quando l'interazione è
occasionale, gli altri – "pellegrini d'altri paesi"
oppure amici – comunque ci circondano, folla d'individui
ugualmente in cammino. Ma certo la vera essenza e
splendida maturità, di questa poesia va colta
innanzitutto nel confronto personale con la dimensione del sé
e, subito innanzi, nella relazione di questo sé con chi
può intimamente capirne gioie, turbamenti, aspettative,
idee: la felicità è soltanto un
attimo e la vita si stende come un ininterrotto sentiero, lungo il quale non vi
è miglior posto per terminare il viaggio se non la dimora
dell'amato, un istante prima di varcame la soglia. In questa misteriosa
allegoria si trova forse una possibile chiave di interpretazione della poesia di
Gabriella Villani: che in definitiva può essere letta
come una sorta di canto e controcanto tra amore e solitudine, tra presenza e
mancanza, tra colloquio e silenzio, espressi gli uni e gli altri nei gesti di
tutti i giorni non meno che nei più impervi recessi
dell'anima. Per approdare infine, dopo tanti luoghi indefiniti e senza nome, ad
un preciso crocevia che racchiude e riassume una vicenda, forse "la vicenda"
della vita: quel Riu Càntaru, paesaggio e geografia
vivente, punto di antica partenza e oggi d'arrivo su cui misurare quel che
è stato e quanto, forse, ancora potrà
essere.
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autore |
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