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L'illusionismo realista
e le suggestioni iperrealiste di Livio Možina

Livio Možina

Il Maestro Možina durante una lezione di pittura

Come un’angiografia che parte dal cielo, un fulmine attraversa uno spaventapasseri che s’incendia e sprizza scintille di fuoco. L’immagine – sospesa fra un attimo prima e un attimo dopo – cattura l’infausto istante, immortalando in tutta la sua violenza il colpo arrivato dalle nuvole, mentre sullo sfondo, in lontananza, un treno prosegue il suo viaggio. La situazione è tanto assurda quanto possibile e per questo immediata. Sembra la perfetta allegoria dell’uomo contemporaneo, ridicolo fantoccio senza anima, che può incendiarsi, avere il suo momento di gloria e sparire, senza alcuna consapevolezza di sé, mentre la vita scorre inesorabile.

Povero spaventapasseri

A Trieste presso la Galleria Rettori Tribbio, è possibile ammirare fino al 21 ottobre 2011 l’ultima personale di Livio Možina, pittore triestino da generazioni, che attraverso soggetti apparentemente comuni si diverte a disorientare l’occhio del visitatore con effetti speciali, quasi cinematografici. Il suo realismo è illusorio, arpeggiato su riflessi di luce e chiaroscuri probabili, ma non per questo reali, come l’immagine dello spaventapasseri scelta per la copertina della brochure. Tutte le opere dell’artista rievocano in certo senso le “figure impossibili” di M.C. Escher, con la differenza sostanziale che Možina non rimane mai intrappolato nei limiti matematici dell’espressione, che inevitabilmente tolgono all’opera l’ampiezza dell’ispirazione.

Luna nel bosco

Tempesta in arrivo

Il pittore triestino si spinge oltre la fotografica logica realistica: egli si fa interprete di situazioni surreali, mascherate alla perfezione in modo da sembrare verosimili. Non esiste dettaglio che non sia stato ampiamente studiato e progettato prima di comparire sulla tela. Možina lavora già dall’imprimitura per determinare la resistenza nel tempo del colore e la resa pittorica. Poi traccia un disegno perfetto sopra il quale stende la tinta base che rappresenta il colore medio delle tonalità, che vengono elaborate di volta in volta con velature chiaroscurate, le quali evocano i suggestivi contrasti di luce e ombra dei pittori fiamminghi (e non solo). Možina in sostanza rielabora le forme del passato e le trasporta ai giorni nostri con un underpainting in cui i colori entrano l’uno nell’altro senza creare mai gradini visibili. Frequente è l’uso di più punti di fuga o di due punti di vista simultanei per far sembrare più avvolgente l’ambiente, quasi in procinto di rovesciarsi su chi guarda. La luce esalta l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande. A volte i riflessi dei soggetti sono persino invertiti al paradosso. Lo specchio di un’onda in primo piano può riflettere la sagoma di un anatroccolo in secondo piano, posto dietro al soggetto al quale realisticamente spetterebbe. Allo stesso modo il soave bagliore di un plenilunio estivo può avvolgere un bosco appena innevato.

Anatra con anatroccoli

Možina è un acuto e mordace osservatore della realtà. Già da bambino, all’età di sei anni, si autoritrasse utilizzando uno specchio, mentre all’epoca degli esami di maturità realizzò una preziosa serie di caricature dei professori, assai apprezzate dagli alunni, che furono appese nella scuola ed esposte per giorni al pubblico ludibrio. Interessante come l’artista ritrasse il suo insegnante di disegno, il pittore astrattista costruttivista Augusto Černigoj, dal quale a tutt’oggi dichiara di non aver appreso alcunché. “Ho imparato assai di più osservando i quadri altrui che dall’insegnamento di quel professore. A cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta – spiega Možina – c’è stato a Trieste un fervore di grandi pittori: Falzari, Stracca, Grubissa, Tosti, Roma, Bressanutti e Frausin, tanto per citarne alcuni. Ho visto tante opere pregevoli, che ho studiato e analizzato da solo”.

Plenilunio sul bosco innevato

Tramonto triestino

La cosa più divertente di questo ironico pittore innamorato della sua città è che può capitare di vederlo con tutta tranquillità prendere un appunto, il quale si rivela invece una sagace vignetta umoristica e, se si è fortunati, te la può mostrare mentre hai ancora davanti il malcapitato/a che, ignaro, continua a pontificare le sue ampollose ragioni.

Con lo stesso umorismo Možina trasporta in una marginetta del Carso la “Sacra conversazione con un committente” del 1515 di Palma il Vecchio. Una visione che davvero apparirebbe sbalorditiva se fosse vera e diverte chi conosce l’asprezza degli altopiani carsici.

Marginetta con Palma il Vecchio

Vale la pena di ricordare che l’attore Gino Cervi (a tutti noto come il sindaco Peppone) a Trieste nel 1971 per una stagione teatrale al Rossetti, rimase stregato da una natura morta di Možina raffigurante una bottiglia di vino, un mazzo di carte, una sigaretta e due bicchieri e volle conoscere l’artista, acquistandogli il quadro.

La carica positiva di Možina si può riassumere nel suo aforisma: “Tutto si può correggere”, che egli trasmette anche al gruppo di pittori del suo Atelier, una cinquantina, provenienti da tutta la regione. “Le masse dell’opera devono trovare il loro equilibrio; luce e prospettiva aerea sono le linee base per la realizzazione di un buon quadro. Oggidì – conclude Možina – non c’è bisogno di prepararsi i colori con le polveri: ci sono in commercio tinte e pennelli meravigliosi che in passato non c’erano. E se all’epoca di Caravaggio si dipingeva a lume di candela, noi possiamo tranquillamente lavorare con la luce artificiale senza sentirci sminuiti”.

Asinelli

Caricature dei tempi giovanili della scuola


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