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Intervista a Paolo Ruffilli

rubrica Arte e cultura
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Paolo Ruffilli è stato il secondo ospite della rassegna di incontri con l’autore Pillole di Letteratura, un ciclo di appuntamenti organizzati presso la biblioteca civica di Marostica dall’Associazione culturale "La fucina letteraria" e presentati dal professor Gianni Giolo. L’autore è originario Forlì, ha insegnato e abita a Treviso ed è considerato una delle voci più importanti della poesia italiana contemporanea. Ruffilli oltre che poeta è narratore e saggista, traduttore, consulente editoriale, direttore delle Edizioni del Leone e collabora attivamente con alcuni quotidiani. Ha ottenuto per la sua opera molti riconoscimenti prestigiosi, due fra tutti nel 1987 l’American Poetry Prize per la raccolta Piccola Colazione edita da Garzanti e nel 1990 il Premio Montale, con Diario di Normandia, Edizioni Amadeus. A Marostica ha presentato una raccolta di racconti intitolata Preparativi per la partenza e poi Le stanze del cielo, spunti efficaci per parlare della vita narrata e indagata dalla scrittura.

Quale buio, quale vuoto indaga la camera oscura della poesia?

La poesia è uno scandaglio nelle profondità più oscure, nei risvolti più segreti, e riesce a rendere intelligibili le parti meno leggibili del nostro io, della coscienza autentica. Non a caso la poesia si fonda sulla messa in scacco di ogni difesa che normalmente usiamo per nasconderci e mascherarci. La poesia vera è quella che svela e rivela, che toglie le maschere, che fa emergere la verità pronunciandola attraverso le parole (parole necessarie e sufficienti, che sono “quelle” e non possono che essere “quelle”). Perché, oltre ogni apparenza, la verità non è nelle cose ma nel linguaggio.

Lei ha affermato in una recente intervista che la poesia non è mai poesia in senso "collettivo". La dimensione individuale, la scelta di un linguaggio che per canoni intrinseci non è comunicazione diretta, comprensibile, immediata, che nega a priori il numero degli “accessi”, a suo parere sono elementi che costituiscono un limite nel mondo odierno o che rappresentano una risorsa preziosa, una sorta di guscio protettivo tale da consentire di intraprendere viaggi immuni dalle mode, dalla contraffazione delle retoriche?

È ciò che ci riguarda individualmente più in profondità che ha valenza collettiva ed universale, e non viceversa. In questo senso, la voce individuale che viene dal più profondo è la garanzia dell’autenticità. È la parola di quello che chiamiamo pratica esoterica, cioè ricerca dell’identità e delle ragioni assolute. Una parola che non può che essere individuale e che non ha niente a che fare con l’individualismo. È una parola che, come si può ben capire, necessita di una conquista personale. E dunque che non può venire da prediche o indottrinamenti o plagi di qualsiasi tipo, mode comprese.

La funzione del poeta è anche quella di interpretare il proprio tempo. Si è conclusa recentemente nel bassanese una rassegna di poesia intitolata “Parole nel caos”, una serie di incontri che ha visto protagonisti poeti e persone che utilizzano il linguaggio poetico per fare chiarezza nel caos che domina il nostro tempo. Poesia dunque che diventa impegno civile e sociale, pronta a farsi strumento per discutere gli eventi della storia, impegnata nel dare forma e voce alle ingiustizie, disponibile all’apertura e al confronto. Lei ha pubblicato di recente per la Marsilio La gioia e il lutto dove si parla della morte di un giovane causata dall’Aids. Mettere in torsione la lingua e la parola può servire a comprendere meglio? A “elaborare” per disporre la vita ad una “assimilazione”?

Le parole, in un certo loro uso, servono a mettere in luce e a far chiarezza, e non solo le parole della poesia. Ma la poesia ha un modo suo di portare alla luce ciò che sta nell’ombra o addirittura nel buio. E lo fa sempre, quando è davvero poesia, indipendentemente da ciò di cui parla, facendo “suonare” quel che dice attraverso la musica. La poesia, in questo senso, è sempre “impegnata” e lo è anche quando non agita questioni sociali o temi storici. Qualsiasi argomento è buono per la poesia. Perché la poesia è esistenzialmente radicale, cioè risale dall’abisso di un’esistenza.

Molte sue raccolte sono state tradotte e pubblicate all’estero. È possibile una traduzione della poesia? Quando si legge in lingua non originale è spesso bypassato senza indignazione il tradimento del chiaroscurale, la fedeltà al testo e alle intenzioni è una promessa pressoché impossibile da mantenere

La poesia, come accennavo, è musica. Dunque, il problema della traduzione non riguarda tanto i significati ma la musica. Una traduzione letterale senza musica è l’assassinio della poesia. L’operazione del tradurre è certamente non facile, ma non è impossibile. Si tratta di sapere come procedere, ricostituendo la musica. Perché è la musica che dà valore ai significati. Nei confronti dei miei traduttori, ho sempre insistito su questo e li ho sempre spinti a ricostituire una musica nelle loro lingue anche a costo di tradimenti. È quello che faccio io stesso quando traduco poeti stranieri in italiano.

Lei è anche consulente editoriale e dirige la collana di poesia delle Edizioni del Leone a Venezia: cosa pensa della diffusione dei libri di poesia autoprodotti? Gli e-book oggi ad esempio permettono corse in fuga e appollaiamenti virtuali tra le bancarelle del mercato: si tratta di vie lecite per sfuggire ai meccanismi complessi di un’editoria forse distratta o è in ballo il rischio della diffusione di prodotti solo ben confezionati, perline colorate di autoterapia, più che gioiellini di poesia?

Dipende, naturalmente. Tutto è relativo e una maggiore libertà di “pubblicazione” non è necessariamente un fatto positivo, soprattutto per gli autori e per la loro poesia. Perché la poesia, come pratica esoterica, è un attraversamento arduo e duro. Necessità di molte lotte, di molti ostacoli da superare (sono le difficoltà che uno incontra, paradossalmente, ad aiutarlo a cercare la soluzione vincente che poi diventa generale ed universale). C’è una poesia che conta e vale per chi la scrive e va benissimo appunto come autoterapia, ma può non contare e valere per gli altri, i possibili lettori.
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