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La poesia come desiderio di dare compiutezza al proprio essere.
Dodici domande a Leonello Rabatti.

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Caro Leonello, scusa se inizio questa intervista con una domanda che può sembrare banale. Ma un poeta si conosce tanto meglio quanto più si riesce a penetrare il senso della sua poetica. Che cos’è per te la poesia?

Ho sempre sostenuto che la poesia nasce da una condizione personale d’interrogazione “profonda” della realtà e del suo senso. Il proprio essere nel tempo e la percezione acuta dell’universale fragilità della condizione umana, il suo irrisolvibile mistero, pongono l’individuo pensante e senziente di fronte ai grandi interrogativi, mai sopiti, della vita, inscindibilmente legati all’ineluttabilità della morte: eterno e transeunte. Ecco quindi che una soggettività fortemente sensibile e dolorosamente immersa nella realtà contraddittoria della vita, avverte provenire dal nucleo più profondo della propria umanità una tensione, un’aspirazione verso una condizione di armonia e di totalità: il desiderio di dare compiutezza al proprio essere, tentando di superare, sia pure precariamente e nella consapevolezza dell’irresolvibilità dei conflitti, la propria limitata e chiusa condizione. Il verso poetico, tessuto con l’ineffabilità data dal ritmo (ciò che sigilla, laddove esiste, l’originalità dell’enunciazione individuale), apre ad una dimensione più alta rispetto a quella bassamente e limitatamente intellettual-razionale, indicando illimitate possibilità di ricongiunzione/armonizzazione degli sparsi frammenti apparentemente insensati della razionalità, in ciò attuando concretamente, tramite il linguaggio, la necessità di armonia. Lo strumento poetico, il linguaggio, viene quindi sottratto alla convenzionalità del suo uso quotidiano e strumentale, per restituire un “non significato” che allude alla più vasta e totalizzante dimensione spirituale, agendo sulla sensibilità e sul bagaglio emozionale del lettore, e stimolando in tal modo le sue spesso assopite facoltà sensoriali.

Ecco dunque una dichiarazione di poetica. Ma ora, per scendere nel concreto, com’è nata la tua esigenza espressiva?

Io credo che alla base esista una sensibilità particolarmente acuta, una predisposizione organico-sensoriale”, per così dire, e al contempo emotiva, che provoca quella che mi viene da definire “un’inermità vibrante”, dolorosa, rispetto al contatto con la realtà. Nel mio caso solitudine e fragilità hanno inciso profondamente sul mio tessuto emotivo ed intellettuale fin dall’infanzia. La crisi adolescenziale fece esplodere le “grandi domande” sul senso dell’esistenza, rendendo definitivo quel distacco/conflitto che provavo verso la vita ed i miei simili. Particolarmente ho avvertito la convenzionalità insensata del linguaggio puramente strumentale della comunicazione quotidiana, e la conseguente ricerca di un’espressione “altra”, più profonda, che restituisse la complessità e la sofferta acutezza data dal distacco cui mi obbligava la mia emotività-sensorialità. Direi che il mio percorso è stato ed è un continuo tentativo di “appressamento” al nucleo più profondo di me stesso, e quindi di ricerca del nucleo essenziale, universale, “archetipico”, vorrei dire, della mia ed altrui dimensione umana. Vorrei aggiungere che in questo non mi pare vi sia nessuna velleità “assolutistica” circa un presunto ruolo poetico, vocazione o “diversità” che dir si voglia; credo si tratti soltanto dell’accentuazione di una tensione presente nella condizione umana dotata di una qualche consapevolezza: tensione verso una ininterrotta ricerca di senso. Tale ricerca è strettamente congiunta a quell’aspirazione verso l’armonia e la completezza: il desiderio di colmare il senso di distacco, di separazione, di isolamento provocato dall’accentuazione della dimensione sensoriale ed emotiva cui accennavo prima.

Ho iniziato a scrivere le prime poesie a 15-16 anni. Da allora ho sempre atteso che vi fosse un’urgenza che rendesse “necessario” il tentativo espressivo. Nei casi che ritengo migliori mi pare che le vicende di vita vissuta, strettamente intrecciate alla sedimentazione intellettuale data dalle letture e dalla conoscenza culturale, provocassero il moto poetico, come se soltanto attraverso la poesia fosse possibile conferire un senso profondo, salvare il vissuto dalla distruzione del tempo, elevandolo verso la bellezza e l’armonia tramite l’altezza del verso, che nasce da un “respiro ritmico” interno, che solo ne garantisce l’originalità, se non il valore. E’ soltanto risalendo da questa profondità interna, dove si percepisce quell’elemento umano essenziale ed universale di cui parlavo prima, che è possibile sillabare, almeno echeggiare un sentire che è generale e collettivo, entro il quale la voce individuale travalica il proprio ambito soggettivo e “comunica”, nel senso più alto, emozioni e bellezza, ciò che è riferibile alla sfera spirituale.

Ma il poeta si pone anche in relazione senziente o dissenziente con altri individui che come lui avvertono le stesse pulsioni espressive e il loro modo di comunicarle all’esterno è ovviamente diverso sia nelle motivazioni che nei risultati. Alla luce di tutto ciò come valuti l’attuale panorama letterario?

L’attuale panorama letterario mi pare rifletta la frammentazione individualistica, la proliferazione delle modalità espressive che viviamo da tempo. Una chiusura solipsistica ed autoreferenziale; la perdita di un’autentica dimensione collettiva spirituale (e non legata ai devastanti surrogati dei riti di massa, spesso consumistici). Ad una qualche forma di idealità si è progressivamente sostituito un individualismo spesso amorale, una deriva del senso il cui unico orizzonte è la glacialità del materialismo consumistico. Conseguentemente l’espressione letteraria è spesso soltanto frammentazione minimalista priva di respiro profondo, prevalere di movimenti cerebrali, di vuoto intellettualismo: domina una ragione fredda; molto difficile è incontrare espressioni in cui è percepibile quel bilanciamento armonico tra elemento intellettuale e ritmico-musicale. E’ comunque impossibile dare conto esaustivamente del panorama poetico-letterario: troppo vasta la proliferazione e gli stessi strumenti di diffusione, che, in gran parte ridimensionata la loro “autorità”, hanno visto una continua moltiplicazione quantitativa. Io credo che sia possibile rintracciare il valore autentico più nelle aree marginali, al di fuori dei circuiti ufficiali, spesso accademico-amicali; i circoli chiusi godono talvolta della risonanza massmediatica, ponendosi come effimeri riferimenti, nient’altro che centri di potere, e non luogo di serio dibattito e crescita culturale. E’ invece proprio il sottobosco letterario che spesso segnala, ad uno sguardo attento, l’originalità, la sincerità, la necessità espressiva, quasi sempre non valorizzate e disperse nei meandri, senza lasciare traccia. Ho rifiutato anch’io forme di irreggimentazione e di compromesso, preferendo una dimensione autonoma e sostanzialmente marginale. E tuttavia chi scrive desidera comunque dare il massimo di comunicabilità al suo messaggio: alla maggiore solitudine e al silenzio creativo vorrebbe corrispondesse il massimo grado di comprensione del proprio dire poetico.

Tornando al “tuo” lavoro di poeta, puoi parlarci delle modalità e delle forme della tua ricerca letteraria e creativa?

Riguardo alla mia esperienza di ricerca letteraria direi che essa ha da sempre ruotato attorno ad un’ansia interrogativa, per così dire, ad una dolorosa ricerca di senso. C’è stato, certo, un percorso culturale-conoscitivo in cui fondamentale è stata una selezione letteraria basata sulla mia personale sensibilità: cercavo risposte, sintonie, assonanze con il nucleo profondo dal quale partivano le interrogazioni esistenziali, ed erano, sono importanti i momenti nei quali la dimensione interna, con le sue molteplici risonanze, trova risposte nelle letture, talvolta incontrando voci che esprimono esattamente, con una pienezza espressiva, la medesima propria percezione profonda. Queste sintonie/empatie/corrispondenze rendono familiari certi autori, ma, nel mio caso, certe loro specifiche opere, talvolta certe espressioni o frammenti, più che il loro intero corpus letterario. In questo senso mi sento vicino alla posizione “crociana”, anche se può sembrare anacronistico. Certo, sono consapevole dell’importanza anche di certe assimilazioni “orizzontali”, legate alla sfera conoscitiva e tecnica della letteratura e della cultura in genere. L’urgenza espressiva ha sempre scelto la poesia come canale privilegiato, per la condensazione che essa permette di attuare. Ho sempre lasciato che la tensione interna si modulasse nel verso senza schemi precostituiti, affinché le parole potessero liberamente comporsi in una eventuale consistenza metrica. Si tratta di una sorta di personale verso libero, che a tratti può acquisire schemi ritmici, talvolta metrici, seguendo il respiro interno dell’espressione. Solo raramente mi sono confrontato con la forma chiusa, quasi sempre il sonetto più o meno regolare, piegando volontariamente alla rima la ricerca linguistica. Alla poesia si è comunque sempre accompagnata l’espressione in prosa. Nel mio primo libro, Limite del silenzio, con la prosa ed il racconto breve cercavo di meglio scandagliare la dimensione interna, senza giungere ad una consistenza pienamente narrativa. In Destino l’urgenza narrativa è certo maggiormente presente, ma non mi pare giungere ad una concretezza realistica, laddove anche la stessa forma di scrittura mantiene un andamento spesso poetico-musicale più che propriamente prosastico. Le conoscenze più squisitamente tecnico-letterarie e storiche, acquisite prevalentemente con gli studi universitari, hanno potuto esprimersi nel versante della critica letteraria e della traduzione (dallo spagnolo, con testi di scrittori latinoamericani, più raramente dall’inglese). Ho collaborato a varie riviste, ma senza che tale attività divenisse vero e proprio laboratorio letterario, come del resto la stessa espressione poetica.

Quali sono gli autori ai quali ti senti più legato e qual’è la forma poetica che prediligi?

Dovendo fare dei nomi, sceglierei Leopardi come esempio di opera il cui fondamento è legato ad un’ansia esistenziale, dolorosamente protesa alla conoscenza. Poi, più vicini e per certi versi antitetici, Campana, per la musicalità tesa ed “esplosiva”, e Montale per la profondità razionale e la vastità della base conoscitiva. Per la prosa ritengo per me fondamentale la conoscenza della straordinaria perfezione di Proust, per la capillarità analitica della sua indagine introspettiva. Per quanto mi riguarda, a costo di dover rischiare di nuovo l’anacronismo, parlerei di espressione “lirica”. Ovviamente non nell’accezione puramente etimologica e tradizionale del termine, bensì intesa come movimento interno, che si diparte dalle radici dell’essere (il “cuore” dell’umano). La dolorosa acutezza percettiva, ponendosi in una dimensione fortemente conflittuale, accentua il senso di incompletezza e di disarmonia insiti nella condizione umana. Gli avvenimenti della vita, siano essi positivi o negativi, incidono il tessuto vibrante della sensibilità, rendendo più incombente l’urgenza di conferire loro una “pienezza” attraverso la ricerca di bellezza attuata tramite l’espressione poetica: sottrarre il vissuto alla caducità insensata, e ricomporlo nell’edificio armonico del verso; armonico perché il razionalismo strumentale del linguaggio viene rinnovato in una comunicazione non strumentale, tessuta dalla trama musicale data dal ritmo e dall’elemento fonico, che scardinano l’involucro del significato d’uso e lo rinsanguano in una prospettiva originalmente personale, ma anche, se valida, restituendo un sentire, un’emozione che colleghi al nucleo collettivo universale. Quando il tentativo espressivo riesce la razionalità, unendosi all’elemento musicale, è ricomposta nel testo poetico in una nuova forma, che rimanda ad un unico nucleo archetipico, coinvolgendo emozionalmente il lettore. Il poeta, insomma, è l’interprete di un desiderio di armonia (di felicità, di bellezza) universalmente umano, riscattando in esso anche la tragicità ed il dolore.

Mi sembra una posizione distante da molte ricerche compiute sul piano della forma, entro una situazione che potremmo definire ormai post-sperimentale e post avanguardistica. Ma vorrei farti una domanda che molto spesso riaffiora, vexata quaestio: la poesia è in grado di “incidere” la realtà?

Sono consapevole di trovarmi al di fuori delle attuali, peraltro frammentatissime linee di tendenza. Ma credo che l’ “essenza” del fare poetico sia necessariamente “inattuale”, astorica, se vogliamo, utilizzando la diversa strumentazione che la lingua fornisce nel suo storico modificarsi. Certo, esiste il rischio di non veicolare adeguatamente l’interna tensione espressiva e produrre derive sentimentaleggianti e letterariamente convenzionali; ma è un rischio che è necessario correre, e che viene evitato quando esiste un’esigenza autentica dell’espressione, una necessità che sola giustifica la scrittura. “Lirismo”, quindi, come esigenza intima, scaturita da un’attitudine che si confronta, interpreta, trova linfa nelle proprie vicende di vita, unitamente alla sedimentazione culturale. Lo sperimentalismo e tutte le operazioni, ormai innumerevoli, compiute sul linguaggio hanno un loro senso storico, di riflessione sull’uso della lingua letteraria, per fornire nuovi strumenti espressivi all’esperienza poetica, che resta squisitamente individuale, pur riflettendo inevitabilmente una certa temperie culturale. Ma per la sua stessa essenza, la poesia, che pure scaturisce ed interpreta il reale nella sua irripetibile storicità, tende al contempo a superarlo, a rimandare alle basi archetipiche dell’umano, all’elemento spirituale.

Riguardo al grado di incidenza sul reale, è facile affermare che nella deriva postmoderna gli elementi dell’impegno sembrano essere pressoché scomparsi, e di fronte alle catastrofi che continuano ad abbattersi su un’umanità globalizzata e sempre più interdipendente, l’incidenza del fare poetico parrebbe del tutto risibile. Peraltro una riflessione sulla globalizzazione culturale ci porterebbe molto lontano, sul piano di una valutazione dell’espressione, anche poetica, che tende a divenire sempre più pluriforme e planetaria, contaminata, direi anche positivamente, dall’intrecciarsi delle storie socio-culturali. Forse è difficile pensare che tramite il fare poetico si possano risolvere i conflitti veri e sanguinosi della società; e tuttavia, se rifiutiamo una visione totalmente materialistica e razionalistica (purtroppo oggi dominante), mi pare che tramite la dimensione autenticamente poetica si possa contribuire a rafforzare quel “collante” che costituisce la nostra condizione umana “solidale”, positivamente volta ad attenuare i conflitti e le distanze individuali: l’emozionalità archetipica, il respiro unificante che può trasmettere il messaggio poetico, attingendo ad un elemento spirituale universalmente umano, credo che possa continuare a fornire un contributo sempre prezioso e indispensabile: immateriale e spesso marginale, certo, ma comunque un’ “energia” positiva che circola in opposizione alle barriere alimentate dal chiuso egoismo materialistico, rafforzando il polo positivo di quella alternanza di opposti che da sempre costituisce la tragicità della storia umana.

A quali delle attuali posizioni ti senti più vicino, riguardo all’esperienza poetica?

Riguardo alla forma espressiva, mi trovo molto d’accordo con quanto afferma Mario Luzi in un’intervista concessa ad una rivista nel periodo precedente la morte. In essa esprimeva la necessità e l’auspicio che la scrittura poetica recuperasse la semplicità e la chiarezza della forma, dopo la lunga stagione delle avanguardie, delle postavanguardie e degli innumerevoli sperimentalismi. La semplicità e la chiarezza non devono naturalmente intendersi come semplificazione superficiale, ma come comunicazione che, sforzandosi di mantenere la profondità del messaggio, riesce ad essere pienamente fruibile sul piano formale anche da lettori non specialisti. Del resto mi pare che storicamente la “memorabilità” del messaggio poetico sia raggiunta quando profondità e chiarezza del dettato si congiungono, imprimendosi nella memoria collettiva. Mi chiedo e chiedo: quanti testi poetici da molti anni a questa parte rimarranno nella memoria collettiva? Certo, andrebbe svolta un’indagine in quel foltissimo ed impervio “sottobosco marginale” dove credo più probabile si possano rintracciare espressioni di grande valore.

Oggi sembra fare difetto un serio lavoro critico sull’opera dei poeti. Un tuo parere sulla situazione riguardo alla critica letteraria.

A me pare che la proliferazione incontrollabile dell’espressione individuale, spesso ipersoggettiva, da molto tempo abbia reso enormemente difficile, se non impossibile un serio lavoro critico. Innumerevoli sono ormai divenuti anche i canali di diffusione (editoria, internet, associazioni, gruppi, cenacoli letterari…). E’ venuto a mancare un serio filtro selettivo che, nel rispetto di ciascuna forma espressiva, possa rigorosamente esprimere un giudizio di valore. L’opinabilità e la fallibilità di qualsiasi lavoro critico, pur non eludibili, potrebbero essere comunque molto diversi dall’attuale, indiscriminato moltiplicarsi delle apologie amicali, dell’autoreferenzialità e da certo mercimonio che mira ad ottenere una misera effimera visibilità. Come diceva un personaggio “folle” in un film di un grande regista, “il male vero del nostro tempo è che non ci sono più i grandi maestri. La strada del nostro cuore è coperta d’ombra”. Appare difficile riempire questo vuoto di critica autentica e di valore. Frammentarietà nell’ambito creativo e in quello critico sono del resto fenomeni paralleli e interdipendenti. In ambito poetico, se escludiamo alcuni “grandi vecchi” (Zanzotto in primis), non esistono figure il cui spessore culturale sia in grado di sintetizzare nella loro opera la “temperie culturale” dell’epoca storica, come invece accadeva in passato. E non credo che ciò sia dovuto alla lente inevitabilmente deformante della contemporaneità: l’impossibilità di sintesi, in quest’epoca rumorosa e frammentata dalle innumerevoli specializzazioni degli ambiti conoscitivi, mi pare il dato dominante.

Queste problematiche, stando alle tue affermazioni, parrebbero irrisolvibili. Oppure pensi esistano possibili evoluzioni positive?

Parrebbe una deriva apparentemente inarrestabile. Tuttavia, per la legge della ciclicità storica, è possibile che dalle rovine del senso e dalla devastazione della frammentarietà si formino nuovi coaguli attorno a idealità nuove o rinate. Certi fondamenti archetipici dovranno necessariamente riemergere, magari dopo altre barbarie e distruzioni (visibili oggi a livello storico-antropologico). E la riedificazione credo che debba avvenire con la ricostruzione di un senso nella ritrovata chiarezza e semplicità della forma.

Tu sei stato amico del poeta inglese Peter Russell, uno dei pochi che gli sono stati vicini fino all’ultimo. Come è nato questo rapporto e come si è sviluppato?

L’amicizia con Peter Russell risale al 1990-91, quando vivevo in affitto nella zona di Pian di Scò, non lontano dalla sua casa-biblioteca e rifugio eremitico de “La Turbina”, un vecchio mulino situato sulle rive di un torrente, incassato in un valloncello montano, accessibile soltanto attraversando un’impervia strada sterrata e poi una discesa ripidissima, un “viottolo” boschivo. Ricordo che, congedandoci dopo il nostro primo incontro, Peter mi pose la mano sulla spalla, con un gesto amichevole, invitandomi a rivederci presto. Pochi giorni dopo, nell’abitazione in cui vivevo da solo in affitto, ricevetti la sua rivista autoprodotta “Marginalia”; sul frontespizio, di suo pugno, era vergata una frase: “Perché non ‘farsi vivo’ ? Amitiè” (amicizia). L’invito alludeva, in modo sottilmente ironico, al contenuto del mio primo libretto di prose e poesie, Limite del silenzio, scaturito da un disagio esistenziale di fondo che il vitalismo di Peter, sul piano letterario, non poteva condividere. Peter era un uomo dotato di una percezione acutissima della natura e del carattere delle persone e della natura umana in generale, ed era estremo sia nel coltivare le amicizie che nello scagliarsi contro coloro che riteneva ipocriti o indegni di fiducia. Sapeva ben soppesare i rapporti e gli spazi interpersonali, nei quali molto spesso l’aspetto umano si intrecciava con i suoi interessi letterari, con l’assoluta centralità della sua ricerca poetica. Da allora la nostra frequentazione non si è mai interrotta, divenendo in taluni periodi vera e propria collaborazione. C’era, nel fondo, un elemento fondamentale che ci univa e che in sé assorbiva la sfera letteraria e quella umana: in modo diverso, ed in lui, certo, come elemento catalizzatore della sua immensa cultura, vi era il sentire la vita come continua ricerca ed aspirazione nostalgica all’armonizzazione dei contrasti, tramite la bellezza data dalla poesia, che in sé contiene, evidentemente, anche una profonda esigenza morale/spirituale, essendo i due termini, in questa prospettiva, per certi versi identitari.

Cosa puoi dirci sulla figura umana e letteraria di Russell?

Peter era un uomo che riusciva a far convivere in sé i contrasti più stridenti, come se nella ricerca ininterrotta che era stata la sua vita avesse sperimentato in profondità tutte le dimensioni dell’umana natura, constatando l’impossibilità di una loro conciliazione, e tuttavia continuando a vivere all’estremo ognuna di esse. Tale carattere “ossimorico” è spesso presente nei luoghi migliori della sua poesia e spiega, per certi versi, la complessità e la vastità della sua opera, che ha indagato varie culture e religioni, in una sorta di tensione “onnivora”, ma sempre protesa e concentrata in particolare sulle “fonti” letterarie e religiose delle singole culture e civiltà. Da questo punto di vista può essere davvero considerato un grande intellettuale cosmopolita, avendo anticipato quella tendenza multiculturale oggi così in voga. In lui convivevano la dolcezza estrema e la rabbia tonante e terribile; lo slancio verso l’ideale spirituale, vissuto in una dimensione eremitica, e la bassa carnalità, l’immersione nella materia umana più magmatica e impura. Una sorta di dimidiazione controllata da una mente eccezionale, che sapeva selezionare e distillare il meglio della cultura, ma sapeva anche attingere a piene mani a tutti i godimenti materiali della vita.

Qual è la situazione attuale riguardo alla sua opera ed alla memoria letteraria?

La coerente marginalità della sua figura, specie nell’ultima parte della vita, non ha facilitato la diffusione dell’opera, che rimane comunque radicata nell’area culturale anglosassone. Mancano studi critici sistematici sul vasto corpus letterario che ha lasciato, che spazia dalla proteiforme opera poetica, alla prosa saggistica ed agli scritti di teoria poetica. L’ampiezza e la complessità della vicenda letteraria richiederebbero un’indagine lunga e approfondita, ma lo spessore culturale giustifica ampiamente la necessità di un simile sforzo, sia in area inglese che italiana, dove al momento, oltre ai moltissimi articoli e recensioni critiche apparsi su varie riviste, soprattutto negli anni ’90 e fino alla morte, esistono alcune tesi di laurea riguardanti specifici aspetti dell’opera poetica. Contributi, quindi, prevalentemente frammentari e sporadici. L’Associazione Peter Russell fa capo al Comune di Pian di Scò e dopo la morte del poeta ha il compito di gestire il lascito letterario, costituito dalla sua biblioteca, circa 10.000 volumi, già archiviati ed in corso di catalogazione. Fondamentale risulterà poi l’indagine sull’archivio personale, comprendente materiale inedito, corrispondenza ed altri preziosi documenti, essenziali per ricostruire l’ultima parte del percorso letterario. Oltre all’omaggio annuale alla sua figura, l’Associazione si occupa della valorizzazione dell’opera ed entro la fine di quest’ anno dovrebbe uscire una rivista, “Nuova Marginalia”, che pubblicherà regolarmente materiale critico e letterario, dedicando un largo ed esclusivo spazio al poeta. Altre iniziative sono state intraprese dagli amici del poeta, in Italia e in Inghilterra. Sembrano essere già stati individuati i locali dove conservare la biblioteca e l’archivio Russell, nel centro di Pian di Scò. Manca un’incisiva azione di catalizzazione che unifichi i vari contributi, e faccia emergere in modo ufficiale la figura e l’opera del poeta, facendogli acquistare quello spazio e quella risonanza che il loro valore indubbiamente meriterebbero: insomma, un progetto dalle solide basi e dal vasto respiro, che coloro i quali sono legati alla memoria di Peter speriamo possano contribuire a creare e coltivare.

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